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Il bimbo ristette, lo sguardo era triste... |
Mi chiederete: che c'è di male in questo? In fondo da sempre le arti museali sostituiscono le parole e ammirare, ad esempio, la "Venere" di Botticelli o la creazione della Cappella Sistina sostituisce più di mille parole.
Certamente, ma se qualcuno ha voluto che ci esprimessimo anche attraverso le parole, ci sarà un motivo.
Bene, senza voler polemizzare e andare troppo per le lunghe, senza perdermi in analisi complicate, quello che volevo semplicemente dire con questo post è che, come dice il titolo, ho perso le parole.
Ho perso, e continuo a perdere, la capacità di esprimermi perché il mondo attorno a me si esprime sempre meno con le parole e sempre più con le faccine, le espressioni idiomatiche, gli acronimi, i xhè, i ki, i nn, gli inglesismi. Abbiamo creato addirittura un social, Twitter, dove ti devi sbrigare ad esprimere la tua idea altrimenti ti tagliano. Forse per questo i giovani d'oggi hanno idee corte, smozzicate, senza futuro?
Tutta questa roba sarà anche comoda, sarà il linguaggio del domani, anzi è già il linguaggio del presente, basta leggere un giornale o sbirciare nel telefonino del vicino sul tram.
Ma io sono attaccato alle parole, che roteano in bocca un attimo prima di uscire e materializzare il mio pensiero. Quando pronuncio la parola 'giusta' viene in me un senso di soddisfazione, pienezza.
Stamattina mi chiedevo quante parole ho perso in questi ultimi anni; quante sono le parole che usavo regolarmente e di cui ora non ricordo più neanche il significato.
Da bambino, facevo ancora la scuola elementare, mi piaceva passare i pomeriggi d'estate sul balcone di casa, al fresco, a sfogliare il vocabolario. Certo quella era l'età in cui dovevi uscire al mattino e tornare con le ginocchia sbucciate alla sera, altrimenti i compagni ti prendevano in giro; in cui dovevi girare perennemente col pallone sotto il braccio alla ricerca di uno slargo in cui mettere un paio di pietre come pali e cominciare a tirare qualche calcio in attesa che ragazzino come te ti vedessero e si aggregassero a te.
Io, invece, a 7 anni avevo già la tessera della biblioteca e quando mi chiedevano cosa desiderassi per qualche ricorrenza, rispondevo sempre: un libro.
Probabilmente non ho avuto un'infanzia 'normale' e oggi ne pago le conseguenze ma mi piace così: quando guardo il mondo lo vedo forse più di testa che di cuore (e questo non è un bene!) ma mi sembra di capirlo di più.
Perché l'importante non sono le parole che usi, ma cosa ci sta dietro. Però, al contempo, per svelare quello che vive davvero in una storia devi usare le parole giuste.
Non mi dilungo, so che avete tutti cose molto più importanti da fare che assistere al decadimento linguistico e cerebrale di un povero viandante, perciò mi chiedevo: ci sono parole che usate comunemente e che oggi vengono considerate desuete? (ecco! desueto potrebbe essere una di queste!). Oppure ci sono termini che usavate fino a qualche tempo fa e che ora non pronunciate o scrivete più?
Io potrei contribuire a questa specie di WWF delle parole con termini come 'celiare', 'ristare', 'rimbrotto'.
Vi racconto un aneddoto al riguardo, prima di chiudere. Imparai il significato di 'ristare' ascoltando Guccini. Era il 1972, avevo 12 anni, e un amico mi portò un disco appena pubblicato da ascoltare: "Radici" di Francesco Guccini. Non conoscevo Guccini e ancora non mi ero avvicinato veramente alla musica; ascoltavo, e distrattamente, solo quello che mandava la TV. Quell'incontro mi aprì un mondo: ero cullato da quella musica così diversa da tutte quelle che avevo ascoltato sino a quel momento; quelle parole non restavano nell'aria ma penetravano in me fino a risvegliarmi emozioni, sensazioni. Non capivo ancora bene che quella è la reazione 'normale' che la musica e le parole dovrebbero suscitare. Quando arrivai alla fine del disco, proprio all'ultimo brano, proprio all'ultima strofa, rimasi colpito da quelle parole:
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"
Cosa voleva dire quella parola: "ristette"? Lì per lì non dissi niente, non volevo fare la figura dell'ignorante, ma appena rimasi solo corsi al mio amato vocabolario e ne cercai il significato.
Da quel giorno fui affascinato da quel verbo, "ristare", e lo uso ancora comunemente, spesso anche durante discussioni tra amici; e mi chiedo anche quante delle persone a cui l'ho detto nel corso degli anni ne hanno afferrato il senso.
L'Oste Juan