Smisi per un attimo di scompormi e mi ritrovai
davanti all’orologio che mi ricordava che il tempo concessomi era sul punto di
terminare.
Ero solito fare almeno due volte alla settimana la
mia scomposizione. Molti anni prima (tanti che ormai la cosa era entrata a
scuola nel programma di storia) qualcuno aveva scoperto che l’uomo era tecnicamente
assimilabile ad una macchina: così come ogni tot chilometri è bene portare
l’auto dal meccanico, farla smontare pezzo per pezzo, ripulirne le parti e poi
rimetterla a posto, nello stesso modo era possibile farlo con la mente umana.
Pian piano furono approntati speciali luoghi dove era possibile fare
quest’operazione: stanze completamente vuote tranne che per una sedia
ergonomica e uno specchio; come quella in cui mi trovavo in questo momento. Era
possibile accedere a queste stanze dopo un corso di alcuni mesi in cui veniva
spiegato come scomporre la mente in vari scomparti: lavoro, amicizia, affetti,
famiglia, studio, memoria, sentimenti vari, ecc.. Terminata questa prima parte,
era possibile ripulire le varie parti, togliendo le incrostazioni che dall’ultima
volta si erano formate e che influivano negativamente sulla vita presente. Se
per esempio avevi litigato col capoufficio, o tua moglie ti aveva risposto un
po’ bruscamente senza che tu te l’aspettassi, allora si evidenziavano le
sezioni lavoro o affetti e si rimuovevano da esse questi episodi, col risultato
che queste tornavano immacolate e tutta la vita diventava più scorrevole, senza
intoppi e intralci di alcun genere.
Era un po’ come andare dal vecchio psicanalista,
solo che costava molto meno e potevi farlo da solo, come e quando volevi.
E tutto ciò faceva bene ai singoli come alla
società. Infatti molti giudici nei tribunali avevano preso a imporre a persone
accusate di piccoli reati di sottoporsi a questo espediente, come cura oltre
che come pena.
Devo dire che anche a me era sembrata una buona
idea: c’era meno gente in carcere, a vivere a spese dello stato, e si dava loro
la possibilità di rimettersi subito in carreggiata.
Ma non devo divagare, me lo sono imposto proprio
prima di iniziare la seduta di scomposizione di oggi, per ragioni di tempo,
perché non è possibile fare una pulizia completa ogni volta. Se per ogni
sezione, infatti, si dovesse togliere via ogni più piccola imperfezione ci
vorrebbe molto tempo: calcolate più o meno un quarto d’ora per ogni blocco,
moltiplicatelo per tutte le sezioni, almeno quelle principali, e vi renderete
conto di quanto fa.
Perciò ognuno ha il suo metodo, come per le
pulizie di casa: c’è chi pulisce ogni cosa sufficientemente dando una parvenza
generale di pulizia e insistendo ogni tanto su qualcosa di più preciso; e c’è
chi invece preferisce concentrarsi su una sezione particolare alla volta e
lucidarla per bene, tralasciando le altre.
Ora, all’inizio, quando la procedura di pulizia si
poteva effettuare solo nei centri specializzati, erano pochi quelli che la praticavano
e il tempo a disposizione per ciascuno era praticamente illimitato: in un
giorno si presentavano due - tre persone nei centri convenzionati. Poco alla
volta però i clienti si erano moltiplicati e gli organizzatori erano stati
costretti a stabilire un tempo preciso per ogni seduta personale. Alla fine fu
stabilita un’ora a testa.
Terminai il tempo assegnatomi e controllai allo
speciale specchio se ero intero. Il sistema era quello solito: ti fotografi la
psiche prima e la rivedi dopo l’operazione di pulizia.
Mi sembrava che tutto fosse a posto.
Uscii per strada e aspirai a pieni polmoni l’aria
che quel giorno era densa; evidentemente, pensai, oggi è il turno di chi è
stato punito per lungo tempo. Pensai che quel metodo di immettere nell’aria
sostanze per alleviare determinate pene, emozioni troppo forti o infelicità
varie fosse abbastanza valido.
Ormai tutto poteva essere controllato e
indirizzato verso il Bene. C’era stato un tempo in cui di fronte a problemi
sociali e momenti di tensione collettiva, il Potere utilizzava metodi ancora
infantili. Di fronte a quelle che venivano chiamate ‘emergenze sociali’, o
quando la coscienza collettiva si avvicinava al centro vero di qualche problema
(col rischio di destabilizzare il Potere stesso e chi l’aveva in mano smascherandone
i piani) i Governi mettevano in piedi una ‘controfferta’ per spostare
l’attenzione dell’opinione pubblica. Bastava un programma televisivo messo al
punto giusto o qualche fatto clamoroso (un omicidio ‘politico’, uno scandalo
bello grosso e rumoroso, di quelli che però poi finiscono tutti in una bolla di
sapone) perché la gente si dimenticasse del resto e per qualche mese se ne stesse
buona buona. Era il vecchio panem et circenses dei romani, niente di nuovo
quindi.
In realtà, questi metodi non erano eccessivamente
efficaci perché c’era sempre qualcuno in grado di mettere in guardia la
società, quelli che venivano definiti la ‘coscienza critica’, capaci nonostante
tutto di pensare in modo autonomo dalla massa. Si trattava comunque di soggetti
facilmente emarginabili e, in un modo o nell’altro, per amore o per forza, eliminabili
fisicamente o socialmente. Ma tutto ciò costava fatica, denaro e bisognava
tirare dentro troppe persone…
Ora questo
nuovo metodo, invece, permetteva di controllare ogni cosa in maniera pulita e
legale. Poiché tutti abbiamo bisogno di respirare per vivere, allora quale
soluzione migliore che immettere nell’aria sostanze aventi lo stesso effetto di
programmi di intrattenimento e scandali
tenendo buona la gente? Tutto legale e meritorio perché fatto ‘per il
bene della Nazione e del Mondo’.
Così un gruppo mondiale di scienziati dell’ONU (L’Organizzazione delle Nazioni Unificate,
erede diretta della vecchia ONU dopo la Pianificazione voluta dai G8 contro
quelli che essi chiamavano terroristi) aveva selezionato una serie di sostanze
buone ad ogni evenienza e il gioco era fatto: come all’inizio dell’estate
vengono immessi nell’aria insetticidi contro moscerini e zanzare, allo stesso
modo quando le acque sociali sembravano muoversi un po’ troppo, un’innaffiata
collettiva era ciò che serviva.
Pian piano l’operazione era stata accettata a
livello mondiale, così il Potere si era sentito in dovere di diffondere
quotidianamente nell’aria una certa quantità di sostanze calmanti: era un po’ come
quando si prendeva la tisana della sera per dormire. E se, per qualsiasi motivo
qualcuno sfuggiva al trattamento comunitario, c’era sempre la scomposizione
legale obbligatoria.
C’era poi ancora un altro metodo, precedente a
quello dell’immissione nell’aria di sostanze calmanti e terapeutiche, che
consisteva nell’iniezione personalizzata di un prodotto dopo la pulizia
interiore fatta con la scomposizione, e che dava la possibilità di vedere le
cose con più oggettività e serenità. La nuova ONU aveva assicurato che non si
trattava di una droga perché non dava assuefazione e non provocava danni
all’organismo.
Dapprincipio io era stato tra quelli, pochi per la
verità, che credevano che questo vecchio metodo dell’iniezione singola fosse
ancora buono; ma mi rendevo conto della dispendiosità e della pericolosità del
fatto: qualcuno poteva sfuggire e allora non sarebbe servito a niente tutto il
resto.
Io continuavo ancora a praticare questo metodo e
il suo ricordo me ne fece venire la voglia, provai un bisogno assoluto di fare
l’iniezione e mi precipitai a casa.
Quando sentii il liquido scorrermi nelle vene
stetti subito meglio. L’iniezione mi stava facendo indubbiamente bene, anche se
mi ricordai che l’ultima volta, dopo, avevo avuto strani mal di capo. Non volli
pensarci; ora ero seduto sulla mia poltrona preferita, quella di pelle
amaranto, e stavo guardando il poster tridimensionale appeso davanti a me.
Era un poster molto bello, grande quasi quanto
mezza parete, che avevo trovato quando avevo preso in fitto la casa, e che
avevo lasciato perché aveva un che di interessante e attraente. In verità avevo
lasciato tutto o quasi di quello che c’era in casa, anche perché i diversi
inquilini che si erano susseguiti negli ultimi anni avevano aggiunto ognuno un
po’ del proprio, rendendo il tutto confortevole e accogliente. Anche la spesa
dell’affitto era stata ottimale e mi era sembrato strano che con un prezzo così
basso la casa fosse rimasta vuota per così tanto tempo. C’era anche un’altra
cosa strana per la verità, ma si trattava di voci di quartiere: si diceva che
tutti gli ultimi inquilini non si erano fatti più vedere, sembravano spariti
nel nulla, da un giorno all’altro, con grande disappunto del padrone di casa.
Avevo notato quel cartello ‘Fittasi’ da diverso
tempo, ma mi ero deciso a telefonare all’Agenzia solo un paio di mesi prima,
quando avevo deciso di traslocare per essere più vicino al posto di lavoro. L’appartamento
era ancora sul mercato, telefonai e lo fissai subito.
Il poster era stata la cosa che mi aveva colpito subito
appena entrato in casa e non solo per la sua grandezza. Aveva infatti un non so
che di indecifrabile e inquietante allo stesso tempo, pur riproducendo una
delle scene più belle e rilassanti che possa capitare di vedere in una
piacevole mattina d’estate in riva al mare. C’era una lunga spiaggia dorata che
si perdeva quasi all’orizzonte, dove il cielo e il mare si miscelavano insieme.
Sulla riva, alcuni cavalli correvano maestosi e imponenti mettendo in mostra
tutti i loro muscoli. Dalla parte opposta, alcuni gabbiani erano padroni del
cielo. Tutto era luminoso.
Niente di speciale nel complesso, ma bello.
Ed ora ero li, a fissarlo come mi capitava di fare
quando volevo rilassarmi dopo aver fatto la scomposizione e l’iniezione.
Volli provare a far muovere l’immagine del poster:
c’ero riuscito altre volte e ci sarei riuscito anche adesso perché l’effetto
dell’iniezione era già a buon punto, e la scomposizione di poco prima mi aveva
fatto bene: sentivo di avere le idee chiare e distinte e la mia anima e la mia
mente erano libere da qualsiasi peso.
Le figure si mossero: i cavalli presero a correre
lungo la spiaggia e i gabbiani a volare; sullo sfondo alcune palme muovevano i
loro rami sotto l’effetto della brezza marina che si poteva quasi intuire, fresca
e rilassante. A volte l’immagine seguiva il cavallo in corsa, a volte si
fermava a fissare un punto in attesa dell’arrivo degli altri cavalli, tutto
secondo i miei ordini cerebrali.
Qualcosa mi attrasse, qualcosa che non avevo mai
notato prima nel poster. Fissai l’immagine sul punto e stetti in attesa: vedevo
sul fondo qualcosa muoversi, ma era tutto troppo sfocato; provai a metterlo a
punto ma non ci riuscii.
“Forse con un'altra iniezione ci riuscirò” pensai.
E la feci. Vedevo più chiaro ora, e notai sul
fondo del mare un oggetto, o meglio una macchia nera, emergere, circondata da
punti luminosi in aria. Non riuscii a capire cosa fosse e ciò m’innervosì non
poco. Per quanto mi sforzassi non riuscivo a far decantare l’immagine nella mia
mente per poterla scomporre e renderla chiara, intelligibile.
“Un’altra iniezione” pensai; presi l’ago e compii
nuovamente l’operazione. Adesso distinguevo abbastanza bene la ‘cosa’ sullo
sfondo: mi sembrava un essere completamente nero, con forme di uomo, ma con
dimensioni cento volte maggiori, con enormi occhi rossi. Ancora non capivo bene
cosa fossero quei punti luminosi, ma sembravano esseri sfavillanti che
svolazzavano attorno all’essere più grande.
Volevo vedere ancora meglio, ero ormai in preda ad
un’ansia che solo una comprensione perfetta della visione poteva calmare. Decisi
per un’altra iniezione.
Una luce si accese sul tavolo. Era il pulsante che
i Governativi fanno installare sempre lì dove qualcuno accetta di montare una
postazione del genere: voleva dire che un’altra dose avrebbe potuto essermi
fatale. Per un attimo ebbi una leggera esitazione, poi però il desiderio di
vedere chiaro nel poster sopraffece la paura e feci l’iniezione.
Tornai alla mia poltrona amaranto.
Ora vedevo tutto chiaramente.
L’essere si avvicinò sin quasi a contatto con la
superficie del poster; quindi, cosa che mi lasciò impietrito dalla paura,
parlò.
Sentivo la sua voce distintamente, tuttavia non
fuori da me, attraverso le mie orecchie. La sentivo invece da dentro,
direttamente nel mio cervello. Una voce bassa e piena allo stesso tempo,
pompata, come quella che creano in radio o in televisione quando qualcuno ha un
tono da schifo.
“Bene” disse l’essere, “la tua curiosità è stata
soddisfatta. Ora sai cosa c’è dietro quella strana macchia nera. Ma tu chi
pensi che io sia?”
Non potevo ancora realizzare che quella voce fosse
diretta veramente a me: io, essere reale, razionale, interrogato da qualcosa che stava in un poster? Era pur
vero che nel corso per imparare la scomposizione mi avevano insegnato anche a
credere assolutamente a ciò che era; e quella voce, quella figura erano lì, in quel momento, davanti a me.
Come se avesse letto nei miei pensieri, la voce continuò:
“Si, sono proprio io, l’essere nero, il ‘qualcosa’ come dici tu. Mi hai chiamato
e io sono venuto. Ed ora ti rifaccio la domanda: tu chi pensi che io sia?”
Trovai un po’ di coraggio:
“Come faccio a saperlo? Non sono stato io a chiamarti!
Tu menti!”
“Voi uomini siete tutti gli stessi! Prima fate le
cose e poi dite: ma io non volevo, io non c’entro con questo! Cosa pensate che
siano quelle ‘cose’ che mettete da parte quando nascono e poi incenerite senza
che nessuno le veda? O cosa pensate che siano quelle creature mostruose che
piano piano stanno riempiendo le foreste e i deserti, e che quanto prima
arriveranno nelle vostre città? Non sono forse io già qui davanti a te? Pensi
che ci voglia molto per me ad uscire da questo poster, mettermi a passeggiare
per casa, preparami un caffè e poi uscire da quella porta e andare incontro ai
tuoi simili per strada? Non lo facciamo perché non è ancora giunto il momento.
Bisogna che tutti siano al corrente e capiscano quando arriverà il tempo. I
vostri Potenti ci stanno dando una grande mano, col loro silenzio…”
“Loro sanno?”
Mi tornarono in mente tutte le campagne dei
cosiddetti ‘complottisti’, i loro proclami.
E questa rivelazione mi squassò da dentro; ebbi un
lampo: se era così era la fine.
“Non tutti, per la verità, ma molti sono ormai dei
nostri. E gli altri si adeguano per non fare la figura dei retrogradi. Perché
tanto ormai questa è un’evoluzione irreversibile. Voi pensate che creare un
mondo a vostra immagine e somiglianza, dove tutto è sotto controllo, sia il
massimo della scienza. È così bello poter modificare le cose a vostro
piacimento: mia figlia nascerà con gli
occhi azzurri e le caviglie da indossatrice” squittì con voce da donna ”l’ho programmata così, siamo stati dal
genetista e l’abbiamo scelta, c’era un catalogo vastissimo! Fate, fate
pure!” continuò col suo tono, che andava ingrossandosi sempre più, in un
crescendo da Bolero di Ravel.
“Anche tu hai voluto sfidare la sorte pur di
sapere qualcosa in più. Hai sentito il segnale di pericolo, eppure sei andato
avanti. Così imparerai che ci sono tanti tipi di morte e che si può morire pur
continuando ad andare in ufficio, fare figli e andare in vacanza.”
Io continuavo a restare muto, con le mani
aggrappate alla mia poltrona e il cervello che voleva essere da un’altra parte.
Ma non potevo; l’essere non cessava di fluttuare dall’orizzonte del poster,
sempre pronto a uscire, incombente.
“Hai voluto sapere, ed ora sai. Modifica un
pezzetto di qui, cambia quell’altra fetta di là” poi ancora quella voce da
donna “è cosa veramente da poco, e poi è
più carino il pomodoro con le sfumature celestine, anche l’occhio vuole la sua
parte! La cucina veramente creativa è questa!”
Ci fu una pausa, poi:
“Voi pensate che niente di importante sia stato
trasformato, ma non vi rendete conto che quello che avete modificato è proprio
quello che non si vede ma che da senso a tutto. Avete voluto cambiare il senso
alle cose: per voi un pomodoro non deve essere più ‘buono da mangiare’ ma
‘bello da vedersi’. Un bambino non è importante come essere umano, ma deve
piacere alla mamma e al papà che lo potranno esibire con orgoglio alla fiera
della società.”
Ci fu silenzio. Non so quanto durò, ma mi sentivo
come beccheggiare in un mare d’aria; ero incapace a tornare con i piedi per
terra, o forse non volevo farlo, perché capivo che la realtà, non quella di
quest’attimo in questa stanza, ma quella che scorreva da chissà quanto tempo là
fuori, era lanciata inevitabilmente a trasformarsi come aveva detto
l’essere del poster.
La voce parlò ancora, non più arrabbiata e
cavernosa, ma pacata, come di chi ha raggiunto il suo scopo e ora chiede il
conto:
“Te lo chiedo di nuovo, adesso: tu chi pensi che
io sia?”
Non cercai neanche nella mia mente una risposta.
Sapevo di aver capito tutto, ma sapevo anche di non volerne avere cognizione.
Rifiutavo semplicemente di accettare la realtà, quella del mondo la fuori.
“Capisco che non sai cosa dire” era la voce. “Allora
te la do io la risposta: io sono te. Non te adesso,
ma te quando la tua voglia di andare oltre ti avrà fatto dimenticare ogni altra
cosa e ti avrà preso totalmente. E verrà il giorno in cui tutti quelli come me (e
te!) usciranno allo scoperto e sarà un gioco da ragazzi organizzare tante belle
gite per convincere la gente che è meglio aderire al Glorioso Nuovo Mondo che
noi guideremo alla Potenza e alla Vittoria su coloro che penseranno di
resistere. Ti voglio dare una chance, una possibilità: accetta di farti ufficialmente
anche tu paladino della nostra causa. Passa anche tu tra le file di coloro che
governeranno il mondo.”
Trovai le parole:
“Altrimenti?”
“Altrimenti …” e la frase rimasta a metà diceva
tutto, tranne il modo.
Non ebbi quasi esitazioni.
Mi lasciai prendere pacificamente senza
protestare, e fui trasportato nel poster e tramutato in uno di quei piccoli
esseri volanti luminosi.
In un attimo di lucidità, prima della metamorfosi
completa, capii perché nessuno dei precedenti abitanti della casa era stato mai
ritrovato.