giovedì 31 dicembre 2020

Buon Anno 1960!

In verità non volevo scrivere questo post, perché per me il concetto di fine anno è molto relativo.
E questo perché la mia concezione di tempo è abbastanza semplice: il tempo esiste a prescindere da noi, che ci illudiamo di possederlo solo perché lo misuriamo. E d'altra parte il tempo esiste, sempre a prescindere da noi, perché ne vediamo le conseguenza: chiedetelo al conto in banca di un chirurgo estetico.
Se solo pensiamo che quando da noi sarà la mezzanotte e 4 sfrasolati staranno a buttare soldi dal balcone in forma di petardi e ciccioli vari, dall'altra parte del mondo avranno fatto lo stesso almeno 12 ore prima, allora ci renderemo conto di quanto sia relativo il concetto di tempo.
Quindi farsi gli auguri per il nuovo anno mi sembra ridicolo, con tutto il rispetto per quelli che la pensano diversamente da me.
E allora perché sono qui a dirvi: buon anno?
Perché siamo uomini e viviamo di segni. E il passaggio dal vecchio calendario (conservato gelosamente perché ce lo ha regalato l'erborista, il quale ci ha detto che ne ha avuti pochissimi ma essendo clienti affezionati ce l'ha tenuto da parte) a quello nuovo dovrà pur dire qualche cosa.
Abbiamo sempre bisogno di motivazioni per far qualcosa, e questa cosa di scambiarci gli auguri ci dice che potrebbe essere il segno che questo qualcosa sta succedendo, che è il motivo per... in questo caso fare cose nuove; o (ri)fare cose vecchie ma sperando che stavolta riescano meglio.
Insomma è un gioco. In cui bariamo sempre.
Perché ci diciamo: stavolta ce la farò! ma poi l'indomani tutto scorre come prima.
Sarà capodanno: chi è fortunato starà a casa a festeggiare con la propria famiglia e chi invece dovrà lavorare maledirà quelli che staranno a casa.
Non ci è mai passato per la mente che un giorno qualcuno potrebbe svegliarsi e decidere che il capodanno sarà il 20 maggio o il 18 settembre invece che il 31 dicembre? E allora cosa faremo? Festeggeremo il 20 maggio o il 18 settembre?
Vedete allora che non è il giorno, ma un segno di spartiacque tra un prima e un dopo, che ha senso solo se ci metto l'impegno davvero a cominciare a fare quel che mi riprometto? Perché la fortuna, per chi ci crede, aiuta, ma senza la nostra volontà non si fa molta strada. Quindi: diamoci dentro comunque.
E allora, ancora, perché aspettare il 31 dicembre per augurarsi che tutto vada bene, che la salute sia migliore, che arrivino tanti soldi quante sono state le lenticchie che abbiamo mangiato nel cenone?
Ecco, io la penso così.
Ebbene, se un giorno vale un altro, anche un anno vale un altro; percio io non posso che augurarvi un
 
FELICISSIMO 1960 !!!
 
(P.S.: ho scelto questo perché so che è stata un'ottima annata: infatti, tra gli altri, sono nato io, modestamente...)
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)  
 




martedì 22 dicembre 2020

(Questo è) Un racconto di Natale

A Korvatunturi sin dai primi di Dicembre per le strade è tutto un andirivieni di auto, camioncini, slitte (in quel paese nevica sempre da ottobre ad aprile…) cariche di scatoloni.

E anche nelle case e nei capannoni nessuno sta mai fermo: chi risponde al telefono, chi corre da una parte all’altra per portare borse piene di letterine; o anche un semplice thermos di cioccolato caldo a chi non ha il tempo di fermarsi neanche un attimo per riscaldarsi.

Per le strade, decine di altoparlanti mandano musica che ricorda le prossime feste, ed anche il motivo per il quale quel paesino sperduto tra le foreste imbiancate esiste: Korvatunturi è infatti il paese di Babbo Natale.

(Ora, sono anni che gruppi di dissidenti fanno di tutto per eliminare le musiche a tutto andare. E non è che abbiamo proprio tutti i torti… Hanno anche proposto di variare la selezione o almeno di ringiovanire un po’ il repertorio, ma il sindaco e la giunta si sono sempre rifiutati di farlo. Anche se tutti danno per sicuro che sia stato Santa Klaus in persona a dire che… lui non lo farebbe.)

Santa Klaus (o Babbo Natale, come è meglio conosciuto) stava nella sua casetta ai margini del paese.

Oddio, non si poteva dire proprio una casetta, ma capite che dovendo ospitare anche un elfo cuoco, un elfo postino e un elfo tuttofare, di spazio ne aveva bisogno.

E poi c’era Amdir che, come dice il nome, è l’elfo che vigila su Babbo Natale.

Amdir sta da tanti di quegli anni con lui che è l’unico al mondo a poterlo chiamare semplicemente Klaus.

E quella mattina stava nella sala a fumare la sua pipa con il lungo cannello di giunco osservando il suo padrone.

“Klaus, ti vedo strano in questi giorni… Normalmente quando arriviamo a metà dicembre sei sempre euforico, salti a destra e a sinistra, dai ordini in continuazione. E invece ora te ne stai lì a fissare il ciocco che scoppietta nel camino… Cosa c’è? Sei preoccupato per questa cosa del virus?”

Santa Klaus aspettò un po’ a rispondere, e poi alzò gli occhi verso Amdir.

“No… cioè: sì, certo che sono preoccupato per tutte le persone che stanno morendo e per quelle che moriranno. Per tutti i bambini che non potranno trascorrere un Natale sereno. Ma mi dispiace che nonostante tutto, la gente continua a vivere del superfluo… “

“Ma per i bambini i giocattoli non sono il superfluo! Per loro giocare è vivere!”

“Certamente. Ma i loro genitori? Nessuno ha spiegato ai propri bambini che ci sono altri bambini che soffrono perché sono poveri e non hanno neanche da mangiare? E che con questa pandemia le cose si sono messe ancora più male? I bambini capiscono la sofferenza dei grandi, la percepiscono a pelle. Perché pensi che un bambino è triste quando vede un adulto triste? Perché un bambino si abbraccia alla mamma e cerca di rincuorarla con la sua presenza quando non la vede sorridente? Perché si fa vicino a lei e vuole dimostrarle il proprio affetto; non con le parole che forse ancora non conosce, ma con quello che ha: il proprio corpo, il proprio cuore… “

Santa Klaus rimase in silenzio, sulla sua sedia a dondolo, immobile. Poi continuò:

“Sì, forse hai ragione, dobbiamo andare avanti, per la gioia di tutti i bambini, però…”

“Capisco” l’interruppe Amdir, “ma tu non potresti fare un miracolo e far sparire tutto con un semplice battere della mano?”

“Io non sono autorizzato a fare i miracoli, lo sai… a meno che non sia il desiderio di un bambino” concluse Babbo Natale.

E i due tornarono a restare nei propri pensieri.

Nei giorni seguenti tutto continuò come sempre a Korvatunturi, con la frenesia dei giorni che si avvicinavano sempre più alla festa. E Babbo Natale era sempre al centro di ogni cosa, a dirigere, a incoraggiare gli elfi e gli uomini ormai stanchi ma sempre gioiosi.

Ma i suoi occhi erano ancora velati e il suo sorriso appena accennato.

Tutte le sere Amdir e il suo padrone sedevano davanti al camino a leggere le lettere che continuavano ad arrivare nonostante si fosse ormai a pochissimi giorni dal Natale.

“Trenini, trenini e ancora trenini!” sbuffò Santa Klaus. “Ma quanti ne vogliono, abbiamo già finito due scorte e ne ho ordinata un’altra che speriamo arrivi in tempo per domani.”

“Senti questa, Klaus!” esclamo scoppiando in una risata Amdir. “Questa bambina vuole che sua sorella la smetta di guardarsi sempre allo specchio e di fare quelle mosse sceme mentre ascolta la musica! Ahahahah!”

“Sono bambini, Amdir, sono bambini. E spesso i grandi sono più bambini di loro…”

Continuarono entrambi a leggere e a dividere le lettere in base a un criterio che solo loro conoscevano.

D’un tratto Amdir si fermò e prese a fissare il foglio che aveva in mano con uno sguardo strano e buffo, ancora più buffo perché fatto da un elfo.

“Klaus, guarda un po’ tu questa letterina. Io non ci capisco niente… Io parlo tutte le lingue del mondo, ma questa è incomprensibile” e si sporse porgendo il foglio a Babbo Natale.

Babbo Natale prese la lettera e la scorse, e il volto gli si aprì in un enorme sorriso.

“Perché tu non leggi col cuore ma con gli occhi, non sai leggere ancora la lingua del desiderio” disse il vecchio vestito di rosso.

Lesse ancora per un po’, poi esclamò:

“ Ci siamo, Amdir! Lo possiamo fare! Lo possiamo fare!” e saltò su dalla sedia con l’agilità di un ragazzino, nonostante i suoi… i suoi moltissimi anni.

“Cosa possiamo fare, Klaus?”

“Il miracolo! Possiamo guarire tutti gli uomini!”

Babbo Natale stava ancora ballando per la stanza. Amdir lo guardava trasecolato ma non riusciva ancora a mettere insieme i pezzi.

“Ti dispiacerebbe dire pure a me? Mi sembri un folletto ubriaco!”

Babbo Natale si calmò e tornò alla sua sedia a dondolo.

“Senti cosa dice questa lettera:

 

Caro Babbo Natale. Mi chiamo Luigino e ho cinque anni. Ti scrivo come so, perché ancora non vado a scuola, ma sono sicuro che tu capirai. Quest’anno penso di aver fatto abbastanza il bravo. Forse non dovevo strappare quel bel disegno di Myriam all’asilo, ma lei mi aveva rotto il castello di pongo che avevo fatto, e così siamo stati pari.

Ti volevo chiedere come regalo per Natale un aeroplano con tutte le luci e i suoni, che magari non volava, ma a quello ci pensavo io. E poi un bel fortino con gli indiani e i cowboy. Ma poi ho pensato: se non posso giocare con nessun bambino con questi giochi perché c’è questa brutta malattia, che me ne faccio? E poi la mamma mi ha detto anche che il nonno non c’è più perché se l’è portato via il virus… Allora ho pensato che per questo Natale non voglio né l’aeroplano e neanche il fortino (che magari poi chiedo alla Befana), ma vorrei che tu portassi via questa brutta malattia. Così io posso tornare a giocare con Myriam e Domenico e Salvatore e Amina. E anche tutti gli altri. E magari torna anche il nonno.

Ti prego, se puoi, di farmi questo regalo, che desidero tanto.

Ti saluto.

Luigino

 

“Capisci, Amdir! Ora possiamo fare il miracolo! Non si può lasciar passare il desiderio di un bambino!”

 

E così mentre nella notte del 24 Dicembre, Babbo Natale sorvolava il mondo intero per consegnare tutti i regali, sparse anche tanta polvere di stelle che uccise il virus e riportò il sorriso ai bambini e la serenità agli uomini.

 

P.S.: Luigino ha avuto comunque il suo fortino e anche l’aeroplano. Vuol dire che alla Befana chiederà qualche altra cosa.

 

 

 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

 

venerdì 18 dicembre 2020

(Questo non è un) Racconto di Natale

 ... cioè, è un racconto di Natale, ma nel senso che vi racconterò un Natale della mia vita...
Tra il 1965 e il 1966 andammo ad abitare in una nuova casa, in una nuova zona della mia città. Io avevo 5/6 anni e mio fratello era appena nato.
Ricordo ancora che quando terminava il marciapiede del palazzo, iniziava la campagna. E quando pioveva abbastanza forte il fango si riversava sul tratto di strada asfaltata. Oggi, a distanza di più di 50 anni, quella è una zona centrale della città, a pochi metri dall'Ospedale e dal Campo Sportivo.
Siamo stati tra i primi ad abitare in quel condominio, che era composto da 2 scale, A e B, e aveva (cosa quasi fantascientifica per quei tempi!) l'ascensore, che abbisognava di monetine da 10 lire per attivarsi.
Dopo qualche anno venne ad abitare sul mio stesso pianerottolo -eravamo al V piano- una sorella di mia madre che, al pari nostro, aveva 2 figli: un maschio e una femmina.
Quindi la situazione figli era: io, mio fratello e due cugini. Io ero il più grande e mio fratello il più piccolo.
Passò ancora qualche anno e anche l'altra mia zia per parte di madre scelse di venire a stare vicino a noi e prese un appartamento al secondo piano.
E qui scatta la memoria.
Zia Pina, quella del secondo piano, era la zia che tutti avremmo voluto avere: paciosa, sempre sorridente, con una risata contagiosa, accogliente sin dal suo aspetto fisico. Anche zia Pina aveva due figlie; anche se non ricordo se la seconda fosse già nata a quel tempo.
Ebbene, zia Pina aveva l'abitudine di allestire un grande albero di Natale, come quello che esiste nell'immaginario di ogni bambino (o forse è solo nell'immaginario del me adulto che vuol tornare bambino?). Non era solo una albero grande: era proprio un grande albero (cit.), fatto con tutte le stelle filanti, i fiocchetti e le palline che ci dovevano essere, messe tutte al posto giusto, e con una grande stella cometa in cima.
Ma la particolarità dell'albero di zia Pina erano gli cioccolatini appesi ai rami, di tutte le forme (babbinatale, palline, pacchettini infiocchettati...), avvolti in stagnole luccicanti.
Durante tutto il periodo delle feste, zia Pina comprava questi cioccolatini e li appendeva via via all'albero, perché c'era la sorpresa finale: il 6 gennaio si faceva, noi nipoti/cugini, una grande tombolata a casa sua e come premio alle varie estrazioni si vincevano gli cioccolatini.
Sì, non è una grande trovata, per un adulto; ma noi eravamo bambini, vivevamo di sogni e un cioccolatino era un sogno grande per un bambino di allora.
Perché a quei tempi il panettone si teneva sotto l'albero e si apriva solo il giorno di Natale.
I nostri regali restavano impacchettati in bella mostra tutti insieme e si scartavano solo il 25 dicembre al mattino.
E se scrivevi, come si scriveva, la letterina di Natale non era detto che tra i regali trovavi proprio quel che avevi chiesto.
Perché a quei tempi se eri bambino (e non solo!) il mondo te lo dovevi conquistare davvero, anche il regalo di Natale.
Non sono così stupido da non capire che comunque i regali erano indipendenti dalla tua mansuetudine e bontà ma dipendevano anche (e anzitutto) dalle possibilità di far quadrare i conti di casa, ma nella testa di un bambino di 50 anni fa, se non avevi fatto il bravo qualche dubbio su quel che c'era nei pacchi incartati sotto l'albero ti veniva.
Oggi... oggi abbiamo perso, tutti, adulti e bambini, il senso del desiderio e dell'attesa, e nella nostra frenetica vita 'qui e ora' i ciccolatini di Natale non fanno in tempo ad arrivare a casa; immaginiamoci ad essere appesi ad un albero addobbato come quello di zia Pina.
E voi ce l'avete un ricordo particolare del vostro Natale da piccoli?

(C'è un intruso nel mio blog...)



Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)


venerdì 11 dicembre 2020

Il Franken-meme dello zio Nick

"Ero lì, nel mio candido lettino... e ho sentito una voce che diceva 'Francesco', dico 'socc..., chi è?'... dico 'eh?', diceeeeee 'svegliati sono il tuo Dio'."
No... aspettate un attimo, questo è un altro inizio... però, voglio dire, è ganzo no? E poi, più o meno, è come quello che volevo scrivere io.
Perché quando ho letto che lo zio Nick mi stava coinvolgendo nel suo ormai decennale Franken Meme, ho pensato: ecco, mi tocca fare un bel viaggetto nel passato.
Perché io sono tornato da poco nel mondo dei blogger (e non so per quanto ci starò), e tutto ciò che conosco ora è ciò che ho conosciuto anni fa.
Non so nemmeno se esistono ancora tanti blog che ho seguito per tanto tempo.
Perciò per scrivere questo post mi sono andato a cercare in rete nomi e volti che ho frequentato in passato.
Mi sono tornate in mente discussioni, risate, condivisioni.
Tutto rigorosamente tramite uno schermo, come va di moda oggi vivere la prossimità e l'"amicizia".
Che non è poi la fine del mondo conoscersi solo in rete, è pur sempre un'arricchimento. Tuttavia il mio mondo è romantico; preferisco Schelling e Schumann a Marinetti, per dire.
Prima che mi scenda la lacrimuccia, vengo al dunque. 
 
Dovrei, secondo i dettami del Franken Meme, citare i blog che seguo o mi piacciono divisi per categoria: quelli super, quelli che ce la stanno facendo, quelli che hanno bisogno di incoraggiamento... 
Ma, per lo stesso motivo di cui sopra, per me sono tutti uguali: si sono fermati a 5-6 anni fa.
Proverò tuttavia a fare qualche nome, perché in fondo qualcuno ho continuato a seguirlo, pur senza interagire.
È d'obbligo comuniciare dallo zio Nick. È l'unico blogger che abbia conosciuto di persona.
Ma quanto eravamo gggiovani, Nick?
Senza svelare nulla di particolare posso dire che il giorno in cui ci siamo incontrati non è stato forse uno dei giorni migliori della sua vita (non per causa mia!), eppure parlammo fino al pomeriggio di tutto: della nostra vita, delle famiglie, del lavoro (...), di blogger, di storie; come se ci fossimo conosciuti da sempre. Pranzammo in un ristorantino vicino alla stazione (io ero in vacanza a Bassano del Grappa) e poi lui ripartì nel pomeriggio.
Non sto a parlarvi della sua attività di blogger: basta vedere il medaglione che ha sulla pagina di Nocturnia: Vincitore del Premio Italia 2020. E il numero di visualizzazioni: più di 1 milione!
E, per usare una battuta famosissima, ... ho detto tutto.
L'ordine con cui ora nominerò altri blogger non ha alcuna importanza, perché per me sono stati tutti un pezzo della mia vita. Perdonatemi solo se scriverò qualche inesattezza su di loro: c'è stato un lungo periodo in cui mi sono estraniato da quel mondo.

Ariano Geta è l'esempio di chi ha seguito l'onda e l'estro della sua vita, passando dalla scrittura di romanzi e racconti all'attuale momento creativo in cui si sta cimentando -e con ottimi risultati!- nel disegno di fumetti stile giapponese. Non chiedetemi di essere più preciso o di usare termici tecnici perché non saprei farlo: andatevi a vedere direttamente il suo bellissimo blog o ad acquistare i suoi libri di fumetti!
 
Anche Glauco Silvestri è passato da un blog puramente letterario a quella che piano piano è (almeno penso) diventata la sua passione preponderante: la fotografia e, da ultimo, il mondo dei droni.
 
Un altro blogger che ricordo con simpatia è Simone Maria Navarra. Strano tipo... nel senso buono, anzi ottimo! Lo conobbi perché anche lui faceva parte della schiera degli aspiranti scrittori (eravamo tutti più giovani... ma poi qualcuno ha continuato davvero, vedrete). Simone era un ingegnere, con un suo lavoro ben avviato e faceva, se non ricordo male, il volontario del 118. Poi d'un tratto ha cominciato a dire che progettare non gli andava più molto a genio e che voleva iscriversi a medicina. Alla sua età! Ebbene, l'ha fatto e ora è un medico! Tutta la storia, comunque, che ho seguito fino alla fine, è raccontata qui.
 
E veniamo ad uno scrittore vero. Vero nel senso che ha sempre fatto quello (oltre che insegnare all'Università) e che ha vinto qualche premio: l'Urania 2011, il Kipple 2012, l'Urania - Stella Doppia 2013... Quisquilie, insomma. Chi è? Alessandro Forlani, per me un maestro, capace di inventare una lingua impossibile da definire, e che attraversa tutta la storia della lingua italiana e non solo. I suoi mondi sono talmente impossibili da essere reali, quasi tangibili. Leggere un suo racconto (e nel suo sito ce ne sono a decine!) vuol dire avventurarsi su terreni antichi gettati nel futuro. Ma se non si legge non si piò capire.
 
Che dire di Luca Morandi? Un genio del designer, di cui forse avete visto anche qualche lavoro in giro e che ha realizzato anche moltissime splendide copertine per racconti e romanzi per gli amici blogger.
Anche a me regalò la copertina del mio romanzetto con il Commissario Bacone.
 
Poi insieme cito qui Alessandro Girola e Davide Mana. Entrambe hanno una carriera di scrittori già abbastanza lunga alle spalle, ognuno nel suo campo e nel suo specifico; con le sue peculiarità stilistiche e narrative.
 
Mi vengono da citare, tra quelli con cui ho avuto una frequentazione virtual-epistolare anche fuori dal blog,  Daniele Lapenna, Angelo Benuzzi, Ferruccio Gianola, Gianluca Santini (di lui non riesco più a tovare il sito...), Enzo Milano, Raffaele Serafini, Edo Vitolo, Lady Ghost ...
... e come si dice in questi casi: se ho dimenticato qualcuno non è per malevolenza, ma proprio perché la mia memoria arriva solo fino a questo punto.
Di ognuno di loro potete farvi un'idea sbirciando nei rispettivi blog.

Se volete comunque farvi un'idea di quanti blogger era composto il mio mondo precedente, potete cercare a questa etichetta, che raccoglie una lunga serie di interviste (fatte con la mia pagina storica).
E per stasera penso che possa bastare così.


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)