lunedì 15 giugno 2015

Il Poster parte II (racconto)



Era un poster grande quasi quanto mezza parete...

Secondo appuntamento col vecchio racconto "Il Poster" (qui la prima puntata).

Il Poster

Era un poster molto bello, grande quasi quanto mezza parete, che avevo trovato quando avevo preso in fitto la casa, e che avevo lasciato perché aveva un che di interessante e attraente. In verità avevo lasciato tutto o quasi di quello che c’era in casa, anche perché i diversi inquilini che si erano susseguiti negli ultimi anni avevano aggiunto ognuno un po’ del proprio, rendendo il tutto confortevole e accogliente. Anche la spesa dell’affitto era stata ottimale e mi era sembrato strano che con un prezzo così basso la casa fosse rimasta vuota per così tanto tempo. C’era anche un’altra cosa strana per la verità, ma si trattava di voci di quartiere: si diceva che tutti gli ultimi inquilini non si erano fatti più vedere, sembravano spariti nel nulla, da un giorno all’altro, con grande disappunto del padrone di casa.

Avevo notato quel cartello ‘Fittasi’ da diverso tempo, ma mi ero deciso a telefonare all’Agenzia solo un paio di mesi prima, quando avevo deciso di traslocare per essere più vicino al posto di lavoro. L’appartamento era ancora sul mercato, telefonai e lo fissai subito.

Il poster era stata la cosa che mi aveva colpito subito appena entrato in casa e non solo per la sua grandezza. Aveva infatti un non so che di indecifrabile e inquietante allo stesso tempo, pur riproducendo una delle scene più belle e rilassanti che possa capitare di vedere in una piacevole mattina d’estate in riva al mare. C’era una lunga spiaggia dorata che si perdeva quasi all’orizzonte, dove il cielo e il mare si miscelavano insieme. Sulla riva, alcuni cavalli correvano maestosi e imponenti mettendo in mostra tutti i loro muscoli. Dalla parte opposta, alcuni gabbiani erano padroni del cielo. Tutto era luminoso. Niente di speciale nel complesso, ma bello.

Ed ora ero li, a fissarlo come mi capitava di fare quando volevo rilassarmi dopo aver fatto la decomposizione e l’iniezione.

Volli provare a far muovere l’immagine del poster: c’ero riuscito altre volte e ci sarei riuscito anche adesso perché l’effetto dell’iniezione era già a buon punto, e la decomposizione di poco prima mi aveva fatto bene: sentivo di avere le idee chiare e distinte e la mia anima e la mia mente erano libere da qualsiasi peso.

Le figure si mossero: i cavalli presero a correre lungo la spiaggia e i gabbiani a volare; sullo sfondo alcune palme muovevano i loro rami sotto l’effetto della brezza marina che si poteva quasi intuire, fresca e rilassante. A volte l’immagine seguiva il cavallo in corsa, a volte si fermava a fissare un punto in attesa dell’arrivo degli altri cavalli, tutto secondo i miei ordini cerebrali.

Qualcosa mi attrasse, qualcosa che non avevo mai notato prima nel poster. Fissai l’immagine sul punto e stetti in attesa: vedevo sul fondo qualcosa muoversi, ma era tutto troppo sfocato; provai a metterlo a punto ma non ci riuscii.

“Forse con un'altra iniezione ci riuscirò” pensai.

E la feci. Vedevo più chiaro ora, e notai sul fondo del mare un oggetto, o meglio una macchia nera, emergere, circondata da punti luminosi in aria. Non riuscii a capire cosa fosse e ciò m’innervosì non poco. Per quanto mi sforzassi non riuscivo a far decantare l’immagine nella mia mente per poterla scomporre e renderla chiara, intelligibile.

“Un’altra iniezione” pensai; presi l’ago e compii nuovamente l’operazione. Adesso distinguevo abbastanza bene la ‘cosa’ sullo sfondo: mi sembrava un essere completamente nero, con forme di uomo, ma con dimensioni cento volte maggiori, con enormi occhi rossi. Ancora non capivo bene cosa fossero quei punti luminosi, ma sembravano esseri sfavillanti che svolazzavano attorno all’essere più grande.

Volevo vedere ancora meglio, ero ormai in preda ad un’ansia che solo una comprensione perfetta della visione poteva calmare. Decisi per un’altra iniezione.

Una luce si accese sul tavolo delle iniezioni. Era il pulsante che i Governativi fanno installare sempre lì dove qualcuno accetta di montare una postazione del genere: voleva dire che un’altra dose avrebbe potuto essermi fatale. Per un attimo ebbi una leggera esitazione, poi però il desiderio di vedere chiaro nel poster sopraffece la paura e feci l’iniezione.

Tornai alla mia poltrona amaranto.

Ora vedevo tutto chiaramente.

venerdì 12 giugno 2015

Il Poster parte I (racconto)



Chi mi segue da un po' sa che questo è un vecchio racconto già pubblicato qualche anno fa sul vecchio blog.
Ed essenzialmente il testo è sempre quello, anche se l'ho rivisto per renderlo più scorrevole ed eliminare qualche svarione lessicale.
L'ho diviso in tre parti; questa è la prima.
Buona lettura!

IL POSTER

Smisi per un attimo di scompormi e mi ritrovai davanti all’orologio che mi ricordava che il tempo concessomi era sul punto di terminare.



Ero solito fare almeno due volte alla settimana la mia scomposizione. Molti anni prima (tanti che ormai la cosa era entrata a scuola nel programma di storia) qualcuno aveva scoperto che l’uomo era tecnicamente assimilabile ad una macchina: così come ogni tot chilometri è bene portare l’auto dal meccanico, farla smontare pezzo per pezzo, ripulirne le parti e poi rimetterla a posto, nello stesso modo era possibile farlo con la mente umana. Pian piano furono approntati speciali luoghi dove era possibile fare quest’operazione: stanze completamente vuote tranne che per una sedia ergonomica e uno specchio; come quella in cui mi trovavo in questo momento. Era possibile accedere a queste stanze dopo un corso di alcuni mesi in cui veniva spiegato come scomporre la mente in vari scomparti: lavoro, amicizia, affetti, famiglia, studio, memoria, sentimenti vari, ecc.. Terminata questa prima parte, era possibile ripulire le varie parti, togliendo le incrostazioni che dall’ultima volta si erano formate e che influivano negativamente sulla vita presente. Se per esempio avevi litigato col capoufficio, o tua moglie ti aveva risposto un po’ bruscamente senza che tu te l’aspettassi, allora si evidenziavano le sezioni lavoro o affetti e si rimuovevano da esse questi episodi, col risultato che queste tornavano immacolate e tutta la vita diventava più scorrevole, senza intoppi e intralci di alcun genere.

Era un po’ come andare dal vecchio psicanalista, solo che costava molto meno e potevi farlo da solo, come e quando volevi.

E tutto ciò faceva bene ai singoli come alla società. Infatti molti giudici nei tribunali avevano preso a imporre a persone accusate di piccoli reati di sottoporsi a questo espediente, come cura oltre che come pena.

Devo dire che anche a me era sembrata una buona idea: c’era meno gente in carcere, a vivere a spese dello stato, e si dava loro la possibilità di rimettersi subito in carreggiata.

Ma non devo divagare, me lo sono imposto proprio prima di iniziare la seduta di scomposizione di oggi, per ragioni di tempo, perché non è possibile fare una pulizia completa ogni volta. Se per ogni sezione, infatti, si dovesse togliere via ogni più piccola imperfezione ci vorrebbe molto tempo: calcolate più o meno un quarto d’ora per ogni blocco, moltiplicatelo per tutte le sezioni, almeno quelle principali, e vi renderete conto di quanto fa. Perciò ognuno ha il suo metodo, come per le pulizie di casa: c’è chi pulisce ogni cosa sufficientemente dando una parvenza generale di pulizia e insistendo ogni tanto su qualcosa di più preciso; e c’è chi invece preferisce concentrarsi su una sezione particolare alla volta e lucidarla per bene, tralasciando le altre.

Ora, all’inizio, quando la procedura di pulizia si poteva effettuare solo nei centri specializzati, erano pochi quelli che la praticavano e il tempo a disposizione per ciascuno era praticamente illimitato: in un giorno si presentavano due tre persone nei centri convenzionati. Poco alla volta però i clienti si erano moltiplicati e gli organizzatori erano stati costretti a stabilire un tempo preciso per ogni seduta personale. Alla fine fu stabilita un’ora a testa.



Terminai il tempo assegnatomi e controllai allo speciale specchio se ero intero. Il sistema era quello solito: ti fotografi l’animo prima e lo rivedi dopo l’operazione di pulizia.

Mi sembrava che tutto fosse a posto.

Uscii per strada e aspirai a pieni polmoni l’aria che quel giorno era densa; evidentemente, pensai, oggi è il turno di chi è stato punito per lungo tempo. Pensai che quel metodo di immettere nell’aria sostanze per alleviare determinate pene, emozioni troppo forti o infelicità varie fosse abbastanza valido.

Ormai tutto poteva essere controllato e indirizzato verso il Bene. C’era stato un tempo in cui di fronte a problemi sociali e momenti di tensione collettiva, il Potere utilizzava metodi ancora infantili. Di fronte a quelle che venivano chiamate ‘emergenze sociali’, o quando la coscienza collettiva si avvicinava al centro vero di qualche problema (col rischio di destabilizzare il Potere stesso e chi l’aveva in mano smascherandone i piani) i Governi mettevano in piedi una ‘controfferta’ per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica. Bastava un programma televisivo messo al punto giusto o qualche fatto clamoroso (un omicidio ‘politico’, uno scandalo bello grosso e rumoroso, ma di quelli che finiscono tutti in una bolla di sapone) perché la gente si dimenticasse del resto e per qualche mese stesse buona buona. Era il vecchio panem et circenses dei romani, niente di nuovo quindi.

In realtà, questi metodi non erano eccessivamente efficaci perché c’era sempre qualcuno in grado di mettere in guardia la società, quelli che venivano definiti la ‘coscienza critica’, capaci nonostante tutto di pensare in modo autonomo dalla massa. Si trattava comunque di soggetti facilmente emarginabili e che, quando andavano troppo oltre, venivano facilmente eliminati, fisicamente o socialmente (ad esempio con un bello scandalo montato ad arte), ma tutto ciò costava fatica, denaro e bisognava tirare dentro troppe persone…

 Ora questo nuovo metodo, invece, permetteva di controllare ogni cosa in maniera pulita e legale. Poiché tutti abbiamo bisogno di respirare per vivere, allora quale soluzione migliore che immettere nell’aria sostanze aventi lo stesso effetto di programmi di intrattenimento e scandali  tenendo buona la gente? Tutto legale e meritorio perché fatto ‘per il bene della Nazione e del Mondo’.

Così un gruppo mondiale di scienziati dell’ONU (L’Organizzazione delle Nazioni Unificate, erede diretta della vecchia ONU dopo la Pianificazione voluta dai G8 contro quelli che essi chiamavano terroristi) aveva selezionato una serie di sostanze buone ad ogni evenienza e il gioco era fatto: come all’inizio dell’estate vengono immessi nell’aria insetticidi contro moscerini e zanzare, allo stesso modo quando le acque sociali sembravano muoversi un po’ troppo, un’innaffiata collettiva era ciò che serviva.

Pian piano l’operazione era stata accettata a livello mondiale, così il Potere si era sentito in dovere di diffondere quotidianamente nell’aria una certa quantità di sostanze calmanti: era un po’ come quando si prendeva la tisana della sera per dormire. E se, per qualsiasi motivo qualcuno sfuggiva al trattamento comunitario, c’era sempre la scomposizione legale obbligatoria.

C’era poi ancora un altro metodo, precedente a quello dell’immissione nell’aria di sostanze calmanti e terapeutiche, che consisteva nell’iniezione personalizzata di un prodotto dopo la pulizia interiore fatta con la scomposizione, e che dava la possibilità di vedere le cose con più oggettività e serenità. La nuova ONU aveva assicurato che non si trattava di una droga perché non dava assuefazione e non provocava danni all’organismo.

Dapprincipio io era stato tra quelli, pochi per la verità, che credevano che questo vecchio metodo dell’iniezione singola fosse ancora buono; ma mi rendevo conto della dispendiosità e della pericolosità del fatto: qualcuno poteva sfuggire e allora non sarebbe servito a niente tutto il resto.

Io continuavo ancora a praticare questo metodo e il suo ricordo me ne fece venire la voglia, provai un bisogno assoluto di fare l’iniezione e mi precipitai a casa.

Quando sentii il liquido scorrermi nelle vene stetti subito meglio. L’iniezione mi stava facendo indubbiamente bene, anche se mi ricordai che l’ultima volta, dopo, avevo avuto strani mal di capo. Non volli pensarci; ora ero seduto sulla mia poltrona preferita, quella di pelle amaranto, e stavo guardando il poster tridimensionale appeso davanti a me.

lunedì 1 giugno 2015

Lillo Melidoro: les jeux sont fait! (finale)

Lillo ebbe la visione di un cabinato a vela che si allontanava
Ricordate il 15 aprile 2015? Proprio quel 15 aprile 2015?
Bene, anunciavo che il racconto a puntate era praticamente terminato e che quello era il penultimo capitolo.
Ora, a distanza di un mese e mezzo, la storia è veramente finita, e la trovate quiggiù, qualche riga più in la'. 
Non so se gioire (per aver finalmente terminato) o arrossire (di vergogna per il tempo trascorso), ma mi rendo conto che c'è bisogno di un bel ripasso, per cui a questa etichetta troverete tutta la storia.
Io non so se Lillo Melidoro via ha interessato, se avere veramente letto il racconto e se leggerete anche la conclusione e, soprattutto, se il finale vi piacerà. Fatemi sapere se vorrete, ne sarei lieto.
Ora non ho altro da dire, se non che i problemi tecnici sono stati risolti con un programmino facile facile scaricato al volo dopo settimane di ricerca e di attesa (vana) di un tecnico. Ma ringrazio ugualmente  qui tutti quelli di voi che si sono prodigati in consigli e incoraggiamenti. Ancora grazie!
E ora... gran finale!

 

Lillo Melidoro: les jeux sont fait!


(Lillo) Vide don Alfonso al bancone discorrere con un tipo.

La sua mente abbinò istintivamente l’uomo alla macchina parcheggiata fuori e, soprattutto, a Patrizia. Quanti scherzi fa il cervello quando è a corto di ossigeno!

“Lillo!” l’accolse la voce solitamente argentina del boss. “Amico mio, eccoti finalmente qua! Vieni, sediamoci. Potresti chiudere per favore la porta? Basta che giri la chiave.”

Lillo fece qualche passo indietro e chiuse la porta.

Don Alfonso ora lo stava aspettando seduto ad un tavolo al centro del locale, mentre il palestrato era rimasto poggiato al bancone, da dove osservava.

“Accomodati.”

Lillo sedette cercando di darsi un contegno, ma non sapeva quale fosse veramente il suo aspetto in quel momento.

“Allora, hai scoperto qualcosa su quello che ti avevo chiesto? O meglio: mi devi dire qualcosa?”

Lillo si chiese se con quell’ultima frase il boss gli aveva appena lanciato un’ancora di salvezza o un paio di zavorre per farlo andare definitivamente a fondo.

“Certamente, don Alfonso. Dopo che mi ha chiesto quel favore… “

Lillo volse il capo verso l’uomo appoggiato al bancone che li stava guardando con fare tranquillo.

Don Alfonso guardò anche lui Benny.

“Diciamo che lui può stare“ disse poi fissando Lillo negli occhi.

“Si, forse è meglio se resta anche lui.” Patrizia era appena entrata in sala e si stava avvicinando al tavolino; era lei che aveva parlato.

Lillo cominciava a capire, o almeno ad immaginare la verità.

“Sono tutto orecchi” disse il boss a Lillo.

“A questo punto penso che se Patrizia è qui le abbia già detto tutto…”

“Certamente, ma tu ripetimelo lo stesso.”

“Dunque: ho seguito Patrizia per qualche giorno e ho visto che si incontrava con qualcuno. Non ho visto con chi, all’inizio… poi mi è sembrato fosse un tipo con una SLK argento, uguale a quella parcheggiata fuori.” Lillo stava prendendo coraggio. “E ora che lo vedo qui, al bancone, facendo due più due penso proprio sia lui. E penso anche che abbia fatto bene a farlo restare, perché la persona che stava cercando è lui. Ma non perché sia l’amante di Patrizia… ” Lillo si stava aprendo una via d'uscita.

“E allora?” chiese don Alfonso.

“Perché questo tizio la ricatta e la costringe a fare cose…”

“Strano…” disse il boss.

“Strano, cosa?” Iniziò a balbettare Lillo.

“Strana questa versione dei fatti.”

“Cioè?” Lillo non sentiva più terreno stabile sotto i piedi.

“Perché stamattina Patrizia mi ha parlato e mi ha raccontato una versione un po’ diversa. O meglio: la commedia è la stessa, ma i personaggi cambiano ruolo.”

Don Alfonso si girò a guardare l’uomo al bancone; Patrizia, vestitino a fiori modesto e dignitoso, adesso era vicino a lui.

“Dunque, Patrizia mi ha detto… correggimi se sbaglio” disse rivolto alla donna, “che sei tu che l’hai insidiata e che lei ha dovuto sottostare alle tue avances perché aveva paura, visti i suoi... per così dire precedenti, che io non le credessi.”

Lillo rimase sbalordito: Patrizia aveva saputo ribaltato la situazione in modo semplice ma efficace.

“Ma che gli hai detto!” urlò Lillo alla donna.

“Abbassa la voce quando sei in mia presenza!” intervenne il boss.

“Ma è una bugiarda! È lui che le sta dietro e l’infastidisce!” si difese Lillo puntando il dito contro Benny.

“E io dovrei credere a te, che sei solo un mio tirapiedi, o a Patrizia che è la donna che ho sposato?”

Lillo aveva molte risposte in punta di lingua, ma tutte avrebbero finito per metterlo ancor più nei guai, se la posizione di don Alfonso era quella.

Per uno scherzo di chissà quale dio o demone, Lillo ebbe la visione di un cabinato a vela che si allontanava dal molo senza di lui.

“Don Alfonso, le giuro che non è così!” Lillo era deciso a giocare il tutto per tutto. “Come lei stesso ha detto Patrizia è… è stata… insomma ha capito, e si sa che gente come quella direbbe e farebbe qualunque cosa pur di tirarsi fuori dai guai.”

Patrizia si avvicinò al tavolo e poggiò un braccio sulla spalla del marito, poi gli stampò un bacio sulla testa. Non pareve toccata da quelle parole offensive.

Benny,che finora non aveva fiatato, era sempre immobile al bancone con l’atteggiamento indifferente di chi sta guardando in tv i risultati di uno sport di cui non gli frega niente.

Ma non c’era nessuna tv accesa in quel momento.

“Avevo detto a Patrizia già da un pezzo di parlare con lei e di raccontarle tutto, ma non voleva rattristarla, e così ha preferito tacere e tenersi tutto dentro” disse all’improvviso l’uomo del bancone.

‘So io cosa si è tenuto dentro finora quella zoccola’ pensò Lillo, ma la barca si stava allontanando sempre più nella sua testa.

Forse, pensò, l’unica cosa da fare è confessare tutto quello che vogliono sentirsi dire e sperare che don Alfonso non si sia alzato con la luna storta, oggi. E magari anche in una buona parola da parte di Patrizia, in memoria di tutti i pomeriggi passati nell’alberghetto di periferia. Lillo preferiva sempre i lieto fine quando guardava le serie tv.

Abbassò la testa e cominciò:

“Sì, è vero… forse… “
“Non ti preoccupare, Lillo, Alfonso sa riconoscere le persone per quelle che veramente sono. Vero caro?” interruppe la donna schioccando un altro bacio sulla testa del marito.

Don Alfonso arrossì. Poi prese la mano di Patrizia e la baciò.

“Vai di là a sciacquarti la faccia” intimò il boss a Lillo. “Poi torna qua che finiamo il discorso.”

A Lillo si aprì uno squarcio nel nero che aveva in testa e sorrise.

Non si fece ripetere due volte l’invito e si alzò.

Don Alfonso fece un cenno e da dietro un separé comparve un uomo.

“Ti accompagna lui” disse a Lillo.

L’uomo alto e robusto gli si avvicinò e lo precedette dietro una tenda alla destra del bancone.

“Ma il bagno è di là… “ disse Lillo indicando l’altro lato della sala.

L’uomo lo prese per un braccio facendogli capire che quella era la direzione giusta.

‘Ma per dove?’ si chiese, muto, Lillo, sparendo dietro il tendone verde bosco. Rassegnato.

Patrizia sedette sulle gambe di don Alfonso, passandogli il braccio attorno alle spalle.

“Quello è il tuo allenatore, vero?” chiese lui a lei indicando col capo l’altro.

“Certamente! Te l’ho portato solo perché conosceva tutta la storia e poteva essermi testimone!”

“Sai cosa sta succedendo a Lillo?”

“Sì! Eh, quante domande che mi fai!”

“Voglio solo essere sicuro che hai capito come stanno le cose.”

“Sì, sì, certo che ho capito!” rispose Patrizia quasi imbronciata.

‘Sei tu che non lo sai o non lo vuoi sapere’ stava pensando invece sotto i capelli biondi.



*******

Qualche mese dopo…


Il bar della baracchina era sempre pieno a quell’ora.


Due tipi giovani, ben messi, muscoli al vento e orecchini ai lobi, sorseggiano qualcosa di molto colorato da bicchieri lunghi e stretti.


“Ma chi te l’ha raccontate ‘ste cose?” chiese Manuel.


“Patrizia!” rispose Pier.


“’Quella’ Patrizia? Quella di Lillo, don Alfonso ecc. ?”


“E chi sennò? La mia morosa!”


“E Benny?”


“Eh, da mo’ che l’ha mollato, lei ha bisogno sempre di carne fresca.”


“Quindi anche a te prima o poi da’ il benservito?”


Pier sorrise, anzi sogghignò.


“Certamente, ma fino a che dura… Soldi, bella vita, personaggi che possono qualunque cosa… e poi lei non scherza, l’hai vista!”


“Certo che povero Lillo… che fine… “


“Ma anche lui ha avuto la sua parte e se l’è goduta finché ha potuto.”


Dal telefonino di Manuel partì Il tempo delle mele.


“Che razza di soneria c’hai?” chiese Pier.


“No… è per una che mi fa il filo… per riconoscerla, così non rispondo.” Adesso Manuel era confuso. Prese il telefonino e rifiutò la chiamata.


“Senti, io devo andare adesso. Per quella partita di pesca cosa si fa?”


“È tutto ok, come stabilito” rispose Pier finendo la cosa che aveva nel bicchiere.


“Allora a domani alle dieci.”


“A domani”.


Manuel si alzò appena in tempo per sentire che stava per partire di nuovo Il tempo delle mele”.


 


**********


 


Patrizia ricompose il numero di Manuel, e dopo qualche squillo:


“Perché non hai risposto?” chiese senza dare il tempo di niente a nessuno.


“Ero con Pier, non potevo rischiare che sentisse e riconoscesse la tua voce!”


“Si, hai ragione. Quel Pier comincia veramente a stancarmi, uff…  Allora ci si vede pomeriggio?”


“Certo! Come al solito: stesso motel, stessa stanza. E di’ a Mimì che voglio trovare l’acqua fresca quando arrivo, frizzante, mi raccomando!”


“Sarà tutto frizzante, caro!”

 


FINE