venerdì 23 ottobre 2015

L'odore della carta, finalmente

Volevo dire una cosa.
E volevo dirla perché mi va di farlo.
E se la dico è perché questa cosa l'ho sempre sostenuta: mi piace leggere su lettore, ma soprattutto, mi piace la carta. Io sono uno di quelli che amano l'odore della carta.
Sono uno di quelli che negli anni scorsi, dai colleghi del blocco C, sono stato preso un po' per i fondelli, considerato sorpassato, matusa. Uno di quelli ai margini perché non avevo un'orgasmo se si parlava di epub, 'peso' in kbite, problemi con la formattazione, e via dicendo.
Uno di quelli che non capivano, che mi dovevo adeguare all'autoproduzione perché è la nuova frontiera, che avrebbe sbaragliato ogni altra forma di editoria.
L'ho detto all'inizio e ne ho parlato in decine di post sul vecchio blog: io sono il felice possessore di un lettore ereader, vecchio ormai di 5 anni ma ancora perfettamente funzionante e che adopero regolarmente specie quando viaggio in treno o devo passare una nottata fuori.
Però non posso stare senza un libro di carta in mano.
Perché tutto questo panegirico?
Perché mi è capitato qualche giorno fa di leggere un post dal blog di Gelo dove parla con ardore del libro che ha finalmente finito di scrivere e che per lui è molto importante. E, arrivato al termine, proprio nelle ultime righe, ho dovuto soprassaltare dalla mia sedia a queste sue parole: "E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta."
Ora non voglio tirare in ballo il Gelo, né farlo entrare in una qualche polemica: per me lui resta uno dei massimi esponenti della famiglia che mi ha iniziato al blogging e uno scrittore che ho letto con piacere. Ma leggere quelle parole... .
Quindi se non ho capito male (ma l'italiano è una lingua con la quale ho una certa dimestichezza) per lui il modo serio di pubblicare qualcosa è quello su carta.
Non ho pianto, questo no, ma si è sciolto in gola un groppo che avevo da tempo: anche Gelo, dall'avamposto della tecnologia moderna, vuole fare sul serio e pubblicare in cartaceo.
Basta, non dico nient'altro, non voglio perdere la magia del momento.
E così sia.

P.S.: immaginate un po' la famosa scena tratta da Il nome della Rosa quando Adso da Melk si ritrova nella biblioteca del monastero e si perde (letteralmente) nella visione degli amati volumi; e ora immaginate se invece di manoscritti odorosi ci fossero stati qualche Kobo e un po' di Kindle. Non sarebbe stata la stessa cosa!



L'Oste Juan
E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta.
E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta.
E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta.
E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta.
E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta.
E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta.

giovedì 22 ottobre 2015

Quelli delle mutande firmate

Basta, basta, basta!
A volte arrivi al punto di saturazione senza neanche accorgertene; io invece me ne sono accorto.
Una volta per essere considerato qualcuno dovevi almeno vincere un Nobel, o un Oscar, o diventare Miss Italia. Oppure essere Mussolini o Stalin, ma questo è un altro discorso.
Per esempio Luigia Lollobrigida da Subiaco (che Miss Italia non fu mai) arrivò terza a Stresa (a Miss Italia appunto) dove era approdata non dopo le selezioni di Miss Carotina Bella e Miss Mutanda Strappata, ma a furor di popolo dopo essere arrivata, a sua volta, seconda a Miss Roma e solo grazie alla sua bellezza. E poi la sua carriera surclassò di molto quella delle prime due sul podio, Lucia Bosè e Gianna Maria Canale.
Questo per fare un esempio di persone che sono diventate qualcuno per meriti intrinseci.
Adesso, invece, puoi prendere un Samsug qualsiasi, ti metti davanti allo specchio, ti spari qualche posa mentre fai V con le dita della mano libera o indichi lassotto con l'indice.
Quindi apri una pagina FB (se non ce l'hai già), chiedi l'amicizia a tutti gli amici e amici degli amici, gli spammi le tue foto e aspetti.
Normalmente tempo due giorni la tua foto dove spuntano dai pantaloni a vita bassa le mutande justcavalli è già in cima ai like quantomeno della scuola, poi della circoscrizione e, se proprio si vede anche un po' di coscia, del paese.
A questo punto devi avere solo la fortuna che un rudyzerbi della domenica passi da lì e ti ritrovi in prima serata su Canale5.
E sei qualcuno.
Non si sa bene qualcuno 'chi', ma sei qualcuno.
Il discorso è anche più facile se sei femmina (non donna, femmina) e hai conoscenze non solo virtuali.
Sono sessita? Forse sì, ma non mi interessa... Le cose vanno così, dimostratemi il contrario. Ho imparato, spesso a mie spese, che la realtà è molto diversa dalle utopiche farneticazioni che facevo quando avevo 20 anni.
Viviamo nell'epoca in cui se ti sta crescendo un brufolo alla base del naso, c'è bisogno che lo sappia tutto l'universo creato (cit.) e perché ciò accada basta il famoso Samsug qualunque e una connessione a internèt, che si può trovare anche aggratis fuori da un qualsiasi locale pubblico che abbia il wi-fi.
Ecco, oggi questo è il concetto di avere 'qualcosa da dire'.
Tutto ciò da anche lavoro a decine e decine di tuttologi (tuttologhi?) d'ursizzati (o gilettizzati, fate voi) che hanno un'idea su ogni cosa, compreso il brufolo alla base del naso, che diventa un'attualizzazione della protesta sociale di un Buñuel o di un Pasolini (chiedo umilmente scusa e perdono ai succitati maestri...).
Ho scritto questo pezzo per due motivi.
Anzitutto perché, effettivamente, sto cominciando ad avere i didimi pieni di tutte quelle cose che si leggono su FB, Twitter, Instgram, Pinterest, etc. etc., e mi faccio schifo da solo quando mi soffermo a leggere certi post a corredo di certe foto di imeni quasi al vento buttati su un plaid di Hallo Kitty o Violetta, non so se mi spiego.
Secondo perché era da un po' che non postavo, anche se solo per motivi di tempo; d'altra parte il mio è un blog diaristico, quindi scrivo quando mi va di dire qualcosa. Abbiate pietà: non sono Soren Kierkegaard!
Terzo... erano due i motivi? evvabbè ci aggiungiamo questo, non ve la prendete vero? Terzo, dicevo, perché domenica ho ricevuto un caxxiatone pauroso da un amico che mi chiedeva che fine avessi fatto.
E quindi sono qui. E chiudo questo post con un qualcuno (per restare in tema) che la sua qualcunità se l'è guadagnata e alla grande.
Alla prossima! 



L'Oste Juan

venerdì 2 ottobre 2015

Che poi, oggi, sarebbe anche la festa dei nonni!

Cosa vorresti lasciarmi, tu?
Cucù! Eccomi ancora a voi.
Vi ricordate di me? Sono quello che nelle foto sta sempre in alto a sinistra e che ha invariabilmente qualcuno col cappello con la piuma da alpino che lo nasconde completamente.
Bene, se qualche volta avete visto una foto del genere, io ero là.
E sono sempre io, l'oste Juan, che sta per tornare dopo il tornado lavorativo dei primi giorni di scuola; come dire: la quiete dopo la tempesta. Solo che non so se personifico la quiete o la tempesta.
Ma non importa: l'essere in quanto tale è neutro, esiste e basta; le sue connotazioni spettano a chi lo individua e riconosce.
Non è che abbia battuto la testa e mi sia dato alla filosofia o, come Woody Allen in Zelig, mi sia trasformato in rabbino. Per quanto: essere un rabbino, con la lunga barba bianca, il payot e quel movimento continuo del busto mentre tiene la Scrittura in mano... devo dire che l'immagine mi piace. Poi però la riguardo meglio e mi accorgo che è piena di ansia, incoativa, sospesa, come di chi sia lì lì per arrivare alla meta e la manca sempre di un soffio. Ma che vive ugualmente per tutto ciò, cosciente che questo è il suo destino, un po' come chi aspetta Godot.
In questi giorni sono successe un mare di cose: belle, brutte, stupefacenti, inca**evoli (il termine si capisce vero?). E avrei voluto ogni volta dirvi cosa ne pensavo. Ma il tempo era sempre poco...
Così mi fermo all'oggi.
Oggi è la festa dei nonni, e non so se posso fare gli auguri a qualcuno di voi, ma credo di no.
Comunque penso: che festa sfigata quella dei nonni! Non solo si passano preziosi anni della propria vita (che si sono aspettati in trepidante attesa di riposarsi e darsi a tutto ciò che si è sempre sognato di fare) a badare a mocciosi che i tuoi figli ti lasciano perché "hanno da fare"; per di più devi sorridere ai "mi dispiace, ma tanto lo so' che lo fai con piacere!". E quando poi arriva il 2 ottobre ti vedi anche recapitare un bel vassoio di pasticcini (che magari non puoi mangiare per il colesterolo e la glicemia), accompagnato da un frignante pargolo che resterà con te, a farti compagnia e festeggiare, mentre la mamma e il papà sbrigano qualche faccenda. Come se mettessero un malato che potrebbe avere una brutta malattia in una sala d'attesa con vista sull'obitorio.
D'altra parte noi siamo uomini, e fa parte dell'esserlo il complicarsi la vita. Pensiamo solo a chi ha fede in un dio, qualunque esso sia. Chiunque crede, sa che è stato creato perché questa entità lo ama tantissimo e vuole che egli, la sua creatura vada a vivere con lui, per godere, come lui, di tutto il meglio che ci possa essere nella vita e anche al di là di là di essa. Ebbene, il credente accetta non solo di essere stato creato, ma accetta anche di dover lottare quotidianamente contro il maligno che cerca di sottrarlo alla mano misericordiosa del suo creatore; di dover soffrire malattie fisiche e spirituali; di dover sopportare la cattiveria degli altri... 
Ma io mi chiedo: se questo dio è davvero così buono, non ci potrebbe evitare tutta 'sta mmuina e tenerci con lui a godercela per omnia secola seculorum?
Forse adesso capisco perché si dice: mistero della fede!
E per oggi, mentre cala la sera, è tutto.

L'oste Juan

mercoledì 2 settembre 2015

Una Punto amaranto alla conquista dell'Italia

Non era proprio questa, ma assomigliava...
Rubo qualche momento al lavoro in negozio per dirvi che sono ancora qui e, per adesso, è tutto ok.
Così voglio intrattenervi con un paio di riflessioni, o chiamatele pure provocazioni, perché sapete che quello che devo dire lo dico anche a costo di essere impopolare, politicamente scorretto e tutte quelle altre cose lì che dicono quelli che vogliono fare i fighetti.
Premetto, come sempre, che non voglio dare giudizi sulle singole persone o le singole storie, ma affronto dati di fatto.
Iniziamo. Avrete letto o sentito le ultime polemche dei docenti che protestano perché quest anno scolastico saranno assunti. Sì, lo so, messa così si innesca già la polemica. Ma so anche che nessuno normalmente si lamenta se trova un posto di lavoro, specie quando è un lavoro che si è scelto e agognato, e per il quale si è studiato e si è lottato.
Queste persone protestano perché c'è la possibilità che per lavorare dovranno spostarsi da casa loro, magari andando in un'altra regione distante centinaia di chilometri e dovranno portarsi appresso la famiglia.
Ripeto che non voglio né devo giudicare, ma mi darete la possibilità di raccontare una storia. 
Era il 1999 (sì, proprio alle soglie del fatidico millennio, con la paura che il baco si infilasse nei nostri computer e noi restassimo senza più memoria né abilità intellettuale) e una mattina di settembre - era buio, più o meno le 05.00 - caricavo sulla mia Punto amaranto nichelizzata moglie, figlia e gli ultimi bagagli e partivo alla conquista autostradale dell'Italia. L'ho attraversata tutta, dalla Calabria al Piemonte, e più o meno mentre nelle case degli italiani andava la sigla del TG1 della sera, arrivavo a destinazione.
Era iniziata una nuova fase della mia vita: ero ufficialmente un emigrante e stavo per cominciare la mia carriera di facchino a 1 milione e 200 mila lire al mese per 8-10 ore al giorno di lavoro pesante, sicuramente lontanissimo da quello per cui avevo studiato e dalle mie aspirazioni. 
Parafrasando il poeta, "era uno sporco lavoro, ma qualcuno lo doveva pur fare" specie se serviva a mantenere una famiglia: la mia. Ho fatto quel lavoro per più di dieci anni, c'ho guadagnato qualche vertebra spostata a causa del peso del materiale movimentato, un taglio alla mano, qualche piccola frattura sparsa a braccia e piedi e molta bile. Ma tant'è: ho accettato subito quel lavoro e l'ho fatto perché mi dava da mangiare. Ora per fortuna le cose vanno un po' meglio, ma quando cambia il tempo o metto male la schiena quei dieci anni si fanno risentire tutti...
Detto ciò cerco di immedesimarmi nella protesta dei docenti, ma (sempre fatti salvi casi particolari) mi dico: quando scegli un lavoro come quello dovresti mettere in conto che potresti andare a finire in qualche scuola di montagna o a 1000 chilometri di distanza; d'altra parte non è colpa di nessuno se l'Italia è così lunga e ci vuole un giorno per attraversarla tutta.
È come per chi decide di fare il medico, l'infermiere, il poliziotto, il carabiniere, il militare di carriera... Se proprio vuoi stare al sicuro da brutti imprevisti, allora apriti una latteria sotto casa.
Bene. Terminato con quest argomento, molto brevemente faccio un'ultima osservazione.
Riguarda il prossimo giubileo della chiesa cattolica. Il papa ha deciso che, per quest anno, sarà perdonato il peccato di procurato aborto a chi si dovesse confessare e sia pentito/a. Non entro nel merito dell'aborto, del senso del peccato, della fede. Mi chiedo, invece: se è possibile (per chi crede nei dettami della chiesa cattolica) essere assolti in questo periodo particolare, perché non è possibile esserlo sempre, in ogni tempo e momento? Non si tratta dello stesso 'peccato'? O è un 'peccato' perdonabile, sia pure a certe condizioni spirituale e personali, o non lo è. Anch'io ogni tanto decido che per una settimana vendo le penne ZY con lo sconto del X %, ma si tratta di penne non di affari di coscienza!
Ma sì, fatemi tornare al buon odore dei miei quaderni e dei miei album da disegno...

L'Oste Juan

lunedì 24 agosto 2015

Jack McCoy, uno di famiglia

Questo post per dire che per il prossimo mesetto sarò poco on line causa... lavoro. Per fortuna inizia la scuola e con essa (speriamo!) il lavoro più intenso per me che ho una cartoleria.
Quindi poche visite ai vostri blog, pochi post sul mio.
Sono appassionato di telefilm gialli e polizieschi e seguo da anni le varie serie Law & Order, Criminal Intent, Criminal Mind, e via nominando. Non C.S.I., almeno non le ultime serie che trovo troppo truculente e dove le scene 'insanguinate' sono troppe e inutili, messe lì solo per splatteggiare e attizzare il teleutente malato.
Tengo a precisare che non ho abbonamenti ad alcuna pay tv, quindi i serial che vedo sono solo quelli trasmesse da emittenti in chiaro; perciò niente ultime stagioni o speciali. Insomma solo quello che passa il convento; e mi sta bene così: io la televisione la guardo (e anche poco) quando mi pare, non sono il suo schiavetto.
Chi di voi si diletta di cinema e tv avrà riconosciuto nell'attore oggi in copertina Sam Waterston, divenuto famoso anche e soprattutto come il Vice Procuratore Jack McCoy nella serie Law & Order. Io lo ricordo anche in alcuni film di Woody Allen (tra cui il bellissimo Crimini e Misfatti, che per me resta il capolavoro di Allen) e in un telefilm della serie Ai confini della realtà, di cui non ricordo il titolo e che non ho voglia di andare a cercare su Wikipedia.
Ma non è questo l'argomento del post. 
Ebbene, dopo anni passati a fare il tifo per la Procura di New York rappresentata da McCoy contro i cattivi, qualche settimana fa nella mia mente si è fatta strada un'idea: Sam Waterston somiglia a mio padre.
Ora non pensate ad un sosia, ma molti dei tratti somatici di mio padre li ritrovo in lui.
Non so se sono le sopracciglia folte, i capelli bianchi, il viso squadrato e la pelle indurita sotto il mento, non so se è tutto questo nel suo insieme, fatto sta che ormai ogni volta che Sam Waterston compare sullo schermo io penso a mio padre.
Molto del mio essere chiuso, introverso, riflessivo, nasce dal rapporto con lui, e lo dico senza disturbare Freud. I miei genitori erano persone squisite, corrette, ma non hanno mai esternato un sentimento d'affetto per noi o tra di loro. Non che abbiano abbandonato noi due figli a noi stessi, ma io non ricordo una carezza o un abbraccio. Magari ci saranno stati quando eravamo bambini, ma io dovevo essere talmente piccolo da non averne memoria.
Ecco il mio ricordo di oggi. Ci sarebbe ancora molto da dire, naturalmente, su questo, ma per ora penso possa bastare così.
E voi che ricordo avete dei vostri genitori? O che rapporto avete con loro, se sono (come mi auguro) vivi?

Per finire, ecco la bellissima sigla di Law & Order del geniale Mike Post (in questa serie non c'è però Sam Waterston). 



P.S.: più guardo la foto e più rivedo mio padre, appoggiato ad un pino di Savelli (KR), dove avevamo una casa di montagna.

L'oste Juan



mercoledì 19 agosto 2015

Breve storia di Enzino (racconto)



 ... che voleva ammaestrare le pulci.
Ecco il breve racconto di cui vi avevo parlato qualche giorno fa.
L'idea è nata in treno andando a Luino, mentre leggevo Quando Teresa si arrabbiò con Dio di Alejandro Jodorowsky. Ad un certo punto tra i tantissimi personaggi sopra le righe di cui è popolato il romanzo spunta fuori un ammaestratore di pulci.
Così mi sono chiesto: ma le pulci si possono ammaestrare? So' che è una domanda senza senso, ma allora ci si potrebbe chiedere anche: le pulci esistono veramente? oppure: chi potrebbe voler fare l'ammaestratore di pulci?
E così è nato Enzino, personaggio che vive nel suo mondo dal quale, forse, non vuole uscire. La vita però la pensa sempre diversamente, quando ti stai divertendo e stai realizzando i tuoi progetti.
Insomma questo è il raccontino. Leggetelo se avete voglia e tempo e, sempre se volete, fatemi sapere cosa ne pensate.


BREVE STORIA DI ENZINO,
CHE VOLEVA AMMAESTRARE LE PULCI

Le aveva chiamate Maria Rosa, Berenice e Graziella, come le sue tre nonne.
Fino agli 11 anni non si era nemmeno mai posto il problema del perché lui avesse tre nonne e tutti gli altri due. Né in verità si era mai chiesto come mai portasse i calzoncini corti anche a scuola.
Almeno fino al giorno in cui i due occhi neri neri della ragazzina del secondo banco l’avevano fissato mentre addentava affamato la sua mela scrocchiosa. E allora aveva capito che fuori dalla sua testa esisteva un mondo che poteva essere diverso dal suo, forse più colorato o forse più monotono, ma comunque diverso.
Maria Rosa era la mamma di Cristina, sua madre.
Berenice e Graziella erano le mogli di suo nonno Nicolino.
Nicolino arrivava, spesso, alla domenica pomeriggio a casa sua e Cristina preparava il caffè e metteva sul tavolo qualche biscotto Atene in un piatto bianco che prendeva da sull’acquaio.
Non come quando arriva nonna Maria Rosa con Giuseppe, perché allora tirava fuori le tazzine e i piattini dalla credenza, quelli col bordo d’oro zecchino, preparava il the come aveva imparato non ricordava da chi (ma veniva buonissimo!), e metteva in tavola la torta che aveva preparato al mattino.
A ripensarci non aveva mai visto i cinque nonni insieme, neanche a Natale o per qualche altra occasione speciale.
Un giorno aveva pensato che, però, tutto questo non era giusto, questa disparità, ma non aveva mai chiesto niente perché capiva che erano cose da grandi.
Poi ai suoi tredici anni aveva ricevuto per il compleanno un bel dizionario della lingua italiana, con tantissime parole spiegate per bene. Appena poté andò in camera sua e cominciò a sfogliarlo con una fame che veniva dal cervello invece che dalla pancia. E d’un tratto lesse “bigamo” e capì che, forse, quella parola poteva andare bene per nonno Nicolino.
Ormai era grande, se gli avevano regalato quel bel dizionario e andava a scuola coi pantaloni lunghi come tutti gli altri, così pensò che era arrivato il momento di parlare da grande coi grandi.
Perciò una sera aspettò che suo papà tornasse da lavoro, cenasse e sedesse sulla sua poltrona di similpelle rossa.
“Papà” disse con tono il più rispettoso possibile, “perché nonno Nicolino viene qui con due mogli e nonno Giuseppe ne ha una sola?”
Suo padre lo guardò come se non avesse capito le parole che Enzino aveva appena pronunciato. Fissò il televisore ancora spento, poi diede al figlio un ceffone, ma non forte come le altre. Quindi prese il telecomando e accese l’apparecchio in tempo per l’inizio del TG delle 20,30.
Enzino capì che suo padre non ce l’aveva veramente con lui. Che per quella volta non aveva fatto nessuna marachella che andasse punita. Era solo che non gli andava di rispondere, per qualche ragione che lui non conosceva ma capiva che era importante, perché per tutta la durata del TG il suo papà non fece nessun commento, come invece era solito.
Se quella sera suo padre non ce l’aveva con nessun politico né col papa, voleva dire che la sua domanda era stata più importante.
Enzino teneva i tre animaletti, quelli coi nomi delle tre nonne, in una scatola di legno.
Quando suo cugino Giannino glieli aveva regalati si era raccomandato di tenerli bene perché, aveva detto, ogni bambino si giudica dalla cura che mette nelle sue cose. Così era andato in cantina e aveva trovato quella scatolina che poteva fare al caso suo.
L’aveva colorata con le tempere ma non aveva scritto i nomi delle tre pulci, perché gli sembrava poco rispettoso verso le nonne se qualcuno l’avesse trovata.
All’inizio passava lunghi pomeriggi a fissare le pulci, a cercare di distinguerle tra di loro, ma per quanto si sforzasse era riuscito solo a capire che due litigavano sempre, dandosi zampettate in testa l’un l’altra, mentre la terza se ne stava in disparte. Così chiamò quella solitaria Maria Rosa e alle altre due diede il nome delle mogli di nonno Nicolino, perché anche loro battibeccavano in continuazione, per ogni più piccolo motivo.
Enzino provava a parlare con i tre animaletti, però se non era sicuro che loro capissero o anche solo lo stessero ad ascoltare.
Tutti i giorni, comunque, passava un po’ di tempo con loro, ma non molto più come prima, perché ora gli studi erano più impegnativi e lo distraevano dalla missione che si era dato sin dal primo giorno: ammaestrarle per bene fino a potersi presentare in pubblico e mostrare la sua bravura.
Quando ormai era cresciuto abbastanza da perdere il diminutivo e diventare per tutti Enzo, un giorno fissando Maria Rosa, Berenice e Graziella gli venne spontanea una domanda: ma quanto vivono le pulci? Cioè: è normale che tre esserini così piccoli siano vissuti per tutti questi anni?
E si rispose che, evidentemente, la natura (di cui aveva grande rispetto) sapeva quello che faceva.
Il tempo trascorreva e i suoi sforzi di insegnare alle tre pulci a saltare a comando non davano frutti; tuttavia Enzo continuava ogni giorno a tirare fuori dalla scatolina di legno per una nuova lezione, anche se sempre più breve.
Ormai Enzo aveva la sua bella targa d’ottone sulla porta di casa, che annunciava a tutti che l’avvocato era pronto ad assistere chiunque avesse bisogno della sua perizia professionale.
Poi un giorno Berenice (o Graziella?) rimase nella scatolina quando il coperchio fu tolto, ed Enzo capì che il suo tempo era arrivato.
La prese con delicatezza, se la mise sul palmo della mano sinistra e la guardò a lungo per essere sicuro che non si muovesse più.
Allora afferrò le altre due, le mise vicino alla prima e, senza darsi tempo di pensare, batté una mano sull’altra, con forza.
Maria Rosa, Berenice, Graziella ed Enzino non c’erano più.
Gli rimase tuttavia un dubbio: le pulci possono veramente essere ammaestrate? O era semplicemente che non ne era stato capace?

L'oste Juan

lunedì 17 agosto 2015

Anch'io speravo che, tornando, avrei trovato la pace nel mondo, ma...

Non cercate di leggerci, non capisco neanche io la mia grafia!
Due sole parole: sono tornato.

Non è una minaccia né una promessa ma un dato di fatto.
E non ho trovato né la pace nel mondo né che qualcuno mi abbia fatto un generoso versamento sul conto corrente. Bah!
In verità sono qui da una settimana, ma solo ora riprendo in mano il blog.
Le ferie sono finite già da un po' e devo dire che Luino, dove sono stato, è una bellissima cittadina, molto accogliente e ospitale, nonché (che non guasta!) con ottimi prezzi affatto... vacanzieri, nel senso che si può vivere con il giusto pur trovandosi in un paese turistico.
Unica pecca: nel paese di Piero Chiara non c'è nulla che lo ricordi, se non una decina di totem abbastanza anonimi in luoghi richiamati dallo scrittore nei suoi romanzi. Una delusione! almeno per me che ero andato nella speranza di visitare, che so', la sua casa o qualche altro posto che lo richiamasse.
Nei prossimi giorni posterò un racconto iniziato a scrivere nel viaggio d'andata e terminato a Luino in un paio di giorni. Per ora non vi dico niente, se non che la foto di copertina è la minuta del testo presa dal mio notes.
Ora vi lascio con qualche foto di Luino scattata coi potenti mezzi (!!!) del mio telefonino; e si vede dalla scarsa qualità.

Un bellissimo tramonto (rovinato dalla mia foto)



Il viale alberato del lungolago superiore




 
Famiglia di papere a scuola di nuoto!



Vi stimo grandemente tutti!

L'oste Juan