martedì 22 dicembre 2020

(Questo è) Un racconto di Natale

A Korvatunturi sin dai primi di Dicembre per le strade è tutto un andirivieni di auto, camioncini, slitte (in quel paese nevica sempre da ottobre ad aprile…) cariche di scatoloni.

E anche nelle case e nei capannoni nessuno sta mai fermo: chi risponde al telefono, chi corre da una parte all’altra per portare borse piene di letterine; o anche un semplice thermos di cioccolato caldo a chi non ha il tempo di fermarsi neanche un attimo per riscaldarsi.

Per le strade, decine di altoparlanti mandano musica che ricorda le prossime feste, ed anche il motivo per il quale quel paesino sperduto tra le foreste imbiancate esiste: Korvatunturi è infatti il paese di Babbo Natale.

(Ora, sono anni che gruppi di dissidenti fanno di tutto per eliminare le musiche a tutto andare. E non è che abbiamo proprio tutti i torti… Hanno anche proposto di variare la selezione o almeno di ringiovanire un po’ il repertorio, ma il sindaco e la giunta si sono sempre rifiutati di farlo. Anche se tutti danno per sicuro che sia stato Santa Klaus in persona a dire che… lui non lo farebbe.)

Santa Klaus (o Babbo Natale, come è meglio conosciuto) stava nella sua casetta ai margini del paese.

Oddio, non si poteva dire proprio una casetta, ma capite che dovendo ospitare anche un elfo cuoco, un elfo postino e un elfo tuttofare, di spazio ne aveva bisogno.

E poi c’era Amdir che, come dice il nome, è l’elfo che vigila su Babbo Natale.

Amdir sta da tanti di quegli anni con lui che è l’unico al mondo a poterlo chiamare semplicemente Klaus.

E quella mattina stava nella sala a fumare la sua pipa con il lungo cannello di giunco osservando il suo padrone.

“Klaus, ti vedo strano in questi giorni… Normalmente quando arriviamo a metà dicembre sei sempre euforico, salti a destra e a sinistra, dai ordini in continuazione. E invece ora te ne stai lì a fissare il ciocco che scoppietta nel camino… Cosa c’è? Sei preoccupato per questa cosa del virus?”

Santa Klaus aspettò un po’ a rispondere, e poi alzò gli occhi verso Amdir.

“No… cioè: sì, certo che sono preoccupato per tutte le persone che stanno morendo e per quelle che moriranno. Per tutti i bambini che non potranno trascorrere un Natale sereno. Ma mi dispiace che nonostante tutto, la gente continua a vivere del superfluo… “

“Ma per i bambini i giocattoli non sono il superfluo! Per loro giocare è vivere!”

“Certamente. Ma i loro genitori? Nessuno ha spiegato ai propri bambini che ci sono altri bambini che soffrono perché sono poveri e non hanno neanche da mangiare? E che con questa pandemia le cose si sono messe ancora più male? I bambini capiscono la sofferenza dei grandi, la percepiscono a pelle. Perché pensi che un bambino è triste quando vede un adulto triste? Perché un bambino si abbraccia alla mamma e cerca di rincuorarla con la sua presenza quando non la vede sorridente? Perché si fa vicino a lei e vuole dimostrarle il proprio affetto; non con le parole che forse ancora non conosce, ma con quello che ha: il proprio corpo, il proprio cuore… “

Santa Klaus rimase in silenzio, sulla sua sedia a dondolo, immobile. Poi continuò:

“Sì, forse hai ragione, dobbiamo andare avanti, per la gioia di tutti i bambini, però…”

“Capisco” l’interruppe Amdir, “ma tu non potresti fare un miracolo e far sparire tutto con un semplice battere della mano?”

“Io non sono autorizzato a fare i miracoli, lo sai… a meno che non sia il desiderio di un bambino” concluse Babbo Natale.

E i due tornarono a restare nei propri pensieri.

Nei giorni seguenti tutto continuò come sempre a Korvatunturi, con la frenesia dei giorni che si avvicinavano sempre più alla festa. E Babbo Natale era sempre al centro di ogni cosa, a dirigere, a incoraggiare gli elfi e gli uomini ormai stanchi ma sempre gioiosi.

Ma i suoi occhi erano ancora velati e il suo sorriso appena accennato.

Tutte le sere Amdir e il suo padrone sedevano davanti al camino a leggere le lettere che continuavano ad arrivare nonostante si fosse ormai a pochissimi giorni dal Natale.

“Trenini, trenini e ancora trenini!” sbuffò Santa Klaus. “Ma quanti ne vogliono, abbiamo già finito due scorte e ne ho ordinata un’altra che speriamo arrivi in tempo per domani.”

“Senti questa, Klaus!” esclamo scoppiando in una risata Amdir. “Questa bambina vuole che sua sorella la smetta di guardarsi sempre allo specchio e di fare quelle mosse sceme mentre ascolta la musica! Ahahahah!”

“Sono bambini, Amdir, sono bambini. E spesso i grandi sono più bambini di loro…”

Continuarono entrambi a leggere e a dividere le lettere in base a un criterio che solo loro conoscevano.

D’un tratto Amdir si fermò e prese a fissare il foglio che aveva in mano con uno sguardo strano e buffo, ancora più buffo perché fatto da un elfo.

“Klaus, guarda un po’ tu questa letterina. Io non ci capisco niente… Io parlo tutte le lingue del mondo, ma questa è incomprensibile” e si sporse porgendo il foglio a Babbo Natale.

Babbo Natale prese la lettera e la scorse, e il volto gli si aprì in un enorme sorriso.

“Perché tu non leggi col cuore ma con gli occhi, non sai leggere ancora la lingua del desiderio” disse il vecchio vestito di rosso.

Lesse ancora per un po’, poi esclamò:

“ Ci siamo, Amdir! Lo possiamo fare! Lo possiamo fare!” e saltò su dalla sedia con l’agilità di un ragazzino, nonostante i suoi… i suoi moltissimi anni.

“Cosa possiamo fare, Klaus?”

“Il miracolo! Possiamo guarire tutti gli uomini!”

Babbo Natale stava ancora ballando per la stanza. Amdir lo guardava trasecolato ma non riusciva ancora a mettere insieme i pezzi.

“Ti dispiacerebbe dire pure a me? Mi sembri un folletto ubriaco!”

Babbo Natale si calmò e tornò alla sua sedia a dondolo.

“Senti cosa dice questa lettera:

 

Caro Babbo Natale. Mi chiamo Luigino e ho cinque anni. Ti scrivo come so, perché ancora non vado a scuola, ma sono sicuro che tu capirai. Quest’anno penso di aver fatto abbastanza il bravo. Forse non dovevo strappare quel bel disegno di Myriam all’asilo, ma lei mi aveva rotto il castello di pongo che avevo fatto, e così siamo stati pari.

Ti volevo chiedere come regalo per Natale un aeroplano con tutte le luci e i suoni, che magari non volava, ma a quello ci pensavo io. E poi un bel fortino con gli indiani e i cowboy. Ma poi ho pensato: se non posso giocare con nessun bambino con questi giochi perché c’è questa brutta malattia, che me ne faccio? E poi la mamma mi ha detto anche che il nonno non c’è più perché se l’è portato via il virus… Allora ho pensato che per questo Natale non voglio né l’aeroplano e neanche il fortino (che magari poi chiedo alla Befana), ma vorrei che tu portassi via questa brutta malattia. Così io posso tornare a giocare con Myriam e Domenico e Salvatore e Amina. E anche tutti gli altri. E magari torna anche il nonno.

Ti prego, se puoi, di farmi questo regalo, che desidero tanto.

Ti saluto.

Luigino

 

“Capisci, Amdir! Ora possiamo fare il miracolo! Non si può lasciar passare il desiderio di un bambino!”

 

E così mentre nella notte del 24 Dicembre, Babbo Natale sorvolava il mondo intero per consegnare tutti i regali, sparse anche tanta polvere di stelle che uccise il virus e riportò il sorriso ai bambini e la serenità agli uomini.

 

P.S.: Luigino ha avuto comunque il suo fortino e anche l’aeroplano. Vuol dire che alla Befana chiederà qualche altra cosa.

 

 

 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

 

venerdì 18 dicembre 2020

(Questo non è un) Racconto di Natale

 ... cioè, è un racconto di Natale, ma nel senso che vi racconterò un Natale della mia vita...
Tra il 1965 e il 1966 andammo ad abitare in una nuova casa, in una nuova zona della mia città. Io avevo 5/6 anni e mio fratello era appena nato.
Ricordo ancora che quando terminava il marciapiede del palazzo, iniziava la campagna. E quando pioveva abbastanza forte il fango si riversava sul tratto di strada asfaltata. Oggi, a distanza di più di 50 anni, quella è una zona centrale della città, a pochi metri dall'Ospedale e dal Campo Sportivo.
Siamo stati tra i primi ad abitare in quel condominio, che era composto da 2 scale, A e B, e aveva (cosa quasi fantascientifica per quei tempi!) l'ascensore, che abbisognava di monetine da 10 lire per attivarsi.
Dopo qualche anno venne ad abitare sul mio stesso pianerottolo -eravamo al V piano- una sorella di mia madre che, al pari nostro, aveva 2 figli: un maschio e una femmina.
Quindi la situazione figli era: io, mio fratello e due cugini. Io ero il più grande e mio fratello il più piccolo.
Passò ancora qualche anno e anche l'altra mia zia per parte di madre scelse di venire a stare vicino a noi e prese un appartamento al secondo piano.
E qui scatta la memoria.
Zia Pina, quella del secondo piano, era la zia che tutti avremmo voluto avere: paciosa, sempre sorridente, con una risata contagiosa, accogliente sin dal suo aspetto fisico. Anche zia Pina aveva due figlie; anche se non ricordo se la seconda fosse già nata a quel tempo.
Ebbene, zia Pina aveva l'abitudine di allestire un grande albero di Natale, come quello che esiste nell'immaginario di ogni bambino (o forse è solo nell'immaginario del me adulto che vuol tornare bambino?). Non era solo una albero grande: era proprio un grande albero (cit.), fatto con tutte le stelle filanti, i fiocchetti e le palline che ci dovevano essere, messe tutte al posto giusto, e con una grande stella cometa in cima.
Ma la particolarità dell'albero di zia Pina erano gli cioccolatini appesi ai rami, di tutte le forme (babbinatale, palline, pacchettini infiocchettati...), avvolti in stagnole luccicanti.
Durante tutto il periodo delle feste, zia Pina comprava questi cioccolatini e li appendeva via via all'albero, perché c'era la sorpresa finale: il 6 gennaio si faceva, noi nipoti/cugini, una grande tombolata a casa sua e come premio alle varie estrazioni si vincevano gli cioccolatini.
Sì, non è una grande trovata, per un adulto; ma noi eravamo bambini, vivevamo di sogni e un cioccolatino era un sogno grande per un bambino di allora.
Perché a quei tempi il panettone si teneva sotto l'albero e si apriva solo il giorno di Natale.
I nostri regali restavano impacchettati in bella mostra tutti insieme e si scartavano solo il 25 dicembre al mattino.
E se scrivevi, come si scriveva, la letterina di Natale non era detto che tra i regali trovavi proprio quel che avevi chiesto.
Perché a quei tempi se eri bambino (e non solo!) il mondo te lo dovevi conquistare davvero, anche il regalo di Natale.
Non sono così stupido da non capire che comunque i regali erano indipendenti dalla tua mansuetudine e bontà ma dipendevano anche (e anzitutto) dalle possibilità di far quadrare i conti di casa, ma nella testa di un bambino di 50 anni fa, se non avevi fatto il bravo qualche dubbio su quel che c'era nei pacchi incartati sotto l'albero ti veniva.
Oggi... oggi abbiamo perso, tutti, adulti e bambini, il senso del desiderio e dell'attesa, e nella nostra frenetica vita 'qui e ora' i ciccolatini di Natale non fanno in tempo ad arrivare a casa; immaginiamoci ad essere appesi ad un albero addobbato come quello di zia Pina.
E voi ce l'avete un ricordo particolare del vostro Natale da piccoli?

(C'è un intruso nel mio blog...)



Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)


venerdì 11 dicembre 2020

Il Franken-meme dello zio Nick

"Ero lì, nel mio candido lettino... e ho sentito una voce che diceva 'Francesco', dico 'socc..., chi è?'... dico 'eh?', diceeeeee 'svegliati sono il tuo Dio'."
No... aspettate un attimo, questo è un altro inizio... però, voglio dire, è ganzo no? E poi, più o meno, è come quello che volevo scrivere io.
Perché quando ho letto che lo zio Nick mi stava coinvolgendo nel suo ormai decennale Franken Meme, ho pensato: ecco, mi tocca fare un bel viaggetto nel passato.
Perché io sono tornato da poco nel mondo dei blogger (e non so per quanto ci starò), e tutto ciò che conosco ora è ciò che ho conosciuto anni fa.
Non so nemmeno se esistono ancora tanti blog che ho seguito per tanto tempo.
Perciò per scrivere questo post mi sono andato a cercare in rete nomi e volti che ho frequentato in passato.
Mi sono tornate in mente discussioni, risate, condivisioni.
Tutto rigorosamente tramite uno schermo, come va di moda oggi vivere la prossimità e l'"amicizia".
Che non è poi la fine del mondo conoscersi solo in rete, è pur sempre un'arricchimento. Tuttavia il mio mondo è romantico; preferisco Schelling e Schumann a Marinetti, per dire.
Prima che mi scenda la lacrimuccia, vengo al dunque. 
 
Dovrei, secondo i dettami del Franken Meme, citare i blog che seguo o mi piacciono divisi per categoria: quelli super, quelli che ce la stanno facendo, quelli che hanno bisogno di incoraggiamento... 
Ma, per lo stesso motivo di cui sopra, per me sono tutti uguali: si sono fermati a 5-6 anni fa.
Proverò tuttavia a fare qualche nome, perché in fondo qualcuno ho continuato a seguirlo, pur senza interagire.
È d'obbligo comuniciare dallo zio Nick. È l'unico blogger che abbia conosciuto di persona.
Ma quanto eravamo gggiovani, Nick?
Senza svelare nulla di particolare posso dire che il giorno in cui ci siamo incontrati non è stato forse uno dei giorni migliori della sua vita (non per causa mia!), eppure parlammo fino al pomeriggio di tutto: della nostra vita, delle famiglie, del lavoro (...), di blogger, di storie; come se ci fossimo conosciuti da sempre. Pranzammo in un ristorantino vicino alla stazione (io ero in vacanza a Bassano del Grappa) e poi lui ripartì nel pomeriggio.
Non sto a parlarvi della sua attività di blogger: basta vedere il medaglione che ha sulla pagina di Nocturnia: Vincitore del Premio Italia 2020. E il numero di visualizzazioni: più di 1 milione!
E, per usare una battuta famosissima, ... ho detto tutto.
L'ordine con cui ora nominerò altri blogger non ha alcuna importanza, perché per me sono stati tutti un pezzo della mia vita. Perdonatemi solo se scriverò qualche inesattezza su di loro: c'è stato un lungo periodo in cui mi sono estraniato da quel mondo.

Ariano Geta è l'esempio di chi ha seguito l'onda e l'estro della sua vita, passando dalla scrittura di romanzi e racconti all'attuale momento creativo in cui si sta cimentando -e con ottimi risultati!- nel disegno di fumetti stile giapponese. Non chiedetemi di essere più preciso o di usare termici tecnici perché non saprei farlo: andatevi a vedere direttamente il suo bellissimo blog o ad acquistare i suoi libri di fumetti!
 
Anche Glauco Silvestri è passato da un blog puramente letterario a quella che piano piano è (almeno penso) diventata la sua passione preponderante: la fotografia e, da ultimo, il mondo dei droni.
 
Un altro blogger che ricordo con simpatia è Simone Maria Navarra. Strano tipo... nel senso buono, anzi ottimo! Lo conobbi perché anche lui faceva parte della schiera degli aspiranti scrittori (eravamo tutti più giovani... ma poi qualcuno ha continuato davvero, vedrete). Simone era un ingegnere, con un suo lavoro ben avviato e faceva, se non ricordo male, il volontario del 118. Poi d'un tratto ha cominciato a dire che progettare non gli andava più molto a genio e che voleva iscriversi a medicina. Alla sua età! Ebbene, l'ha fatto e ora è un medico! Tutta la storia, comunque, che ho seguito fino alla fine, è raccontata qui.
 
E veniamo ad uno scrittore vero. Vero nel senso che ha sempre fatto quello (oltre che insegnare all'Università) e che ha vinto qualche premio: l'Urania 2011, il Kipple 2012, l'Urania - Stella Doppia 2013... Quisquilie, insomma. Chi è? Alessandro Forlani, per me un maestro, capace di inventare una lingua impossibile da definire, e che attraversa tutta la storia della lingua italiana e non solo. I suoi mondi sono talmente impossibili da essere reali, quasi tangibili. Leggere un suo racconto (e nel suo sito ce ne sono a decine!) vuol dire avventurarsi su terreni antichi gettati nel futuro. Ma se non si legge non si piò capire.
 
Che dire di Luca Morandi? Un genio del designer, di cui forse avete visto anche qualche lavoro in giro e che ha realizzato anche moltissime splendide copertine per racconti e romanzi per gli amici blogger.
Anche a me regalò la copertina del mio romanzetto con il Commissario Bacone.
 
Poi insieme cito qui Alessandro Girola e Davide Mana. Entrambe hanno una carriera di scrittori già abbastanza lunga alle spalle, ognuno nel suo campo e nel suo specifico; con le sue peculiarità stilistiche e narrative.
 
Mi vengono da citare, tra quelli con cui ho avuto una frequentazione virtual-epistolare anche fuori dal blog,  Daniele Lapenna, Angelo Benuzzi, Ferruccio Gianola, Gianluca Santini (di lui non riesco più a tovare il sito...), Enzo Milano, Raffaele Serafini, Edo Vitolo, Lady Ghost ...
... e come si dice in questi casi: se ho dimenticato qualcuno non è per malevolenza, ma proprio perché la mia memoria arriva solo fino a questo punto.
Di ognuno di loro potete farvi un'idea sbirciando nei rispettivi blog.

Se volete comunque farvi un'idea di quanti blogger era composto il mio mondo precedente, potete cercare a questa etichetta, che raccoglie una lunga serie di interviste (fatte con la mia pagina storica).
E per stasera penso che possa bastare così.


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

lunedì 7 dicembre 2020

Eresia!

Leggetevi un po' il post, prima di farvi scattare la nervatura...
Mi sono accorto, andando a leggere un post sul blog dell'amico Nick, che è un mese che non scrivo niente.
Sì, vabbè, avevo detto che questo sarebbe stato un posto, qui allo Starlight Casino, dove sarei venuto ogni tanto, a parlare dei fatti miei e dei vostri che state lassù sulla terra ferma.
Ma un mese senza darvi mie notizie mi sembra un po' tanto.
Così volevo farvi sapere a cosa sto pensando in questi ultimi giorni.
Sapete che ultimamente non è facile digerire i miei pensieri (spesso non lo è neanche per me!) e infatti su twitter e facebook le poche volte che qualcuno intergisce con quel che scrivo, sono per lo più invettive e mandamenti a quel paese.
Ma non ci posso far niente se leggendo la storia mi sono reso conto che i maggiori pensatori degli ultimi 100 e passa anni (ci vogliamo mettere Nietzsche e Pasolini?) hanno detto che fare filosofia, riflettere sulle radici delle cose, pensare insomma, presuppone la possibilità -anzi: l'ineludibilità- di scardinare idee ataviche, personali e comunitarie.
Perché è bello riempirsi la bocca di frasi piene di senso di personaggi famosi e poi restare nel proprio orticello, senza mettere il naso fuori dalla porta della propria mente...
D'altra parte la nostra società è così spaccata, così negativamente fluida e malleabile, perché fatta di gente mediocre, intellettualmente debole, sprovvista di criterio di giudizio, ignorante culturalmente, che si fa trascinare dal primo venuto solo perché lo trova capace di mettere 2 parole una in croce all'altra anche se non hanno un nesso logico.
(E ora, l'affondo!)
E questo perché siamo figli di una cultura (e io mi metto in testa a questo "quarto stato" dell'ignoranza indotta!) figlia di un'ideologia che non è stata capace di leggere la realtà, ma ha semplicemente preso paro paro le idee del capintesta e le ha calate sulla società. E quando queste idee cozzavano con la realtà non abbiamo (io per primo!) adeguato il principio, ma abbiamo preso un'ascia e tagliato la realtà fino a che non entrava nel nostro calderone ideologico.
Insomma una cultura che non ci ha insegnato a pensare, non ci ha dato criteri di indagine, ma ha detto: è così, che vi piaccia o no, che serva a capire le cose o meno (adesso forse capite anche la vignetta di Tim il Guiscardo a corredo di questo post).
[A proposito: penso di essere guarito da questa malattia degli -ismi...]
Detto e premesso ciò, vengo a quello che vi volevo dire.
Penso che tutti abbiate letto o sentito la notizia del deputato ungherese Jzsef Szájer che si proclama difensore della 'famiglia tradizionale', che è stato tra i fondatori del partito conservatore di cui fa parte anche Orban, e che è stato beccato durante un'"orgia gay" (uso i termini che hanno usato i mezzi di stampa) e con una pastiglia di ecstasy nello zaino.
Come avrete letto, e come era logico che accadesse, questo ha scatenato una raffica di interventi contro il sig. Szájer per la sua doppia faccia: di giorno fustigatore dei costumi, e di notte... frustatore di uomini in mutande (ironizzo...).
A questo punto mi sono chiesto: perché non si può applicare al sig. Szájer ciò che si dice riguardo la condizione degli omosessuali? e cioè che hanno difficoltà a dichiarare la propria realtà perché la società (spesso la famiglia stessa!) non capirebbe, sarebbe esclusi, trattati come reietti? E così si nascondono, a volte anche facendo finta di mal tollerare e/o denigrando altri omosessuali per non far trasparire nulla?
Io questa situazione la capisco, e la accetto e dico che finché la nostra società non sarà capace di accettare un omosessuale, anzi finché dirà: tu sei omosessuale e l'altro no; finché cioè farà ancora differenza tra bianco e nero, tra povero e ricco, tra gay ed etero senza capire che la nostra radice è quella umana; fino a che si farà ciò, nessuno avrà fatto un passo avanti verso un'umanità diversa, sicuramente migliore.
Ma, tornando a Szájer, perché questo non potrebbe essere il caso del deputato ungherese? Perché non potrebbe essere che la sua natura è quella omosessuale e lui si nasconda dietro una facciata perbenista?
Solo perché si dice a favore della "famiglia tradizionale" (qualunque cosa voglia dire)?
Per lui non c'è il benficio del dubbio?
Senza difendere né l'uno né gli altri, a me pare che come spesso accade quando ci sono di mezzo certe tematiche, si facciano due pesi e due misure a seconda del personaggio e delle sue preferenze politiche.
Perché per tanta gente (parere mio, eh!) certi periodi storici non sono mai finiti, e continuano a vivere in un  mondo che non solo non esiste più, ma che continua ad essere lontano dal saper leggere la realtà.
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

mercoledì 4 novembre 2020

Luddisti di tutto il mondo, unitevi!

(credit: opera di Tomoko Nagao: "Il Quarto Stato after Pellizza")
Riprendo (e amplio) un vecchio post da un mio vecchio blog perché mi pare che le
idee espresse non siano poi così vecchie.
E lo riprendo perché oggi, in tempo di pandemia e confinamento (che poi sarebbe il lockdown di noi poveri luddisti intellettuali), mi pare cada a fagiuolo, nel momento in cui siamo costretti a cambiare le nostre abitudini che non sempre sono sane e inevitabili.
Comincio col dire che a me, luddista intellettuale, non fa paura il cambiamento.
Cambiare fa parte della natura e della natura... umana: fisica, mentale e spirituale.
Ogni anno in primavera boccioli di ogni forma e colore riempiono i rami. Dopo un certo tempo dobbiamo cambiare le scarpe, che si consumano; gli abiti, che diventano logori. Spesso ci accorgiamo di avere amici diversi da quelli di qualche anno fa.
Quasi tutti i giorni, guardandomi allo specchio, scopro che peli e capelli bianchi stanno vincendo la loro battaglia contro quelli neri...
A me non fa paura il cambiamento, ma il cambiamento fine a sé stesso.
Mi fa paura il giovane (o il vecchio che 'si sente' giovane) che alla domanda: perché fai questa cosa? risponde candidamente: perché mi va di farla, che male c'è?
Tutto è misurato ormai su sé stessi. Siamo diventati, nel bene e nel male, metro della realtà (ricordate lo spot: perché TU vali!, che un fondo di realtà ce l'ha. Ma solo un fondo). Siamo tornati indietro di 300 anni (o meglio siamo figli di quell'epoca) quando si cominciò a dire che la realtà esiste solo per quello che io ne posso capire e carpire.
Il buon Tommaso d'Aquino diceva che "la verità è l'adeguatezza/corrispondenza della cosa e dell'intelletto" (De veritate). Oggi 'eminenti scienziati' ci dicono che "il mondo è una creazione della mente"* (perché allora ululano di dolore se di notte beccano lo spigolo del comò col mignolino? bah...).
Così se una cosa "mi piace" è bella e buona. Se invece mi provoca domande o si frappone tra me e il mio piacere, allora è sbagliata, da eliminare, demonizzare.
Ecco, "demonizzare".
Abbiamo cassato il demonio dalla nostra realtà umana, ma abbiamo imparato a demonizzare ciò che non ci piace.
Addirittura parlare del demonio è visto come opera... del demonio! Cioè qualcuno che vuole male alla società, che la vuole riportare nel medioevo. Come se il succitato Tommaso d'Aquino, Dante Alighieri, Giotto, Guglielmo di Occam (sì, proprio lui, quello del 'rasoio di Occham” – concetto tuttora alla base del pensiero scientifico) non venissero dal medioevo.
A me pare che se c'è un demonio è proprio quello illuminista, scientista, che ha messo (lui sì!) il prosciutto sugli occhi agli uomini, li ha messi in riga togliendo loro la fantasia, l'anima, la capacità di vedere lo splendore delle cose.
Oggi è tutto piatto, e se qualcosa di bello c'è diventa solo oggetto di una foto con l'ultimo smartphone, per mostrare come quel simulacro da vedere su uno schermo assomigli così tanto alla realtà.
E allora restiamo pure a casa a guardare il simulacro e lasciamo fuori di casa la realtà.
E a proposito di stare a casa. Ci imbufaliamo e sciaboliamo contro il 'potere' che chiude i centri commerciali nel fine settimana mutilando la nostra libertà. Ma ci ricordiamo quando 40 anni fa i centri commerciali non esistevano e il latte si comprava dal lattaio, la carne dal macellaio di fiducia, le scarpe si riparavano dal ciabattino? Quando la spesa si faceva entro il sabato, e a Pasqua e Natale eravamo tutti in famiglia a festeggiare?
È la becera famiglia del mulinobianco? Sì! E sapete una cosa: a me non faceva proprio schifo...
Protestiamo contro la chiusura anticipata di bar e ristoranti, ma facciamo a gara a chi ordina sul sito di consegne a casa più figo, più veloce ed economico. 
Chi ce l'aveva? Io! Io!
Io sono ancora per il Natale da fare in famiglia a guardare Stanlio e Ollio o i film in bianco e nero con la neve che scendeva e i bambini che piangevano perché non potevano avere il trenino con le lucine e i suoni.

Sono di quelli a cui basta avere un solo panettone, da aprire solo il giorno di Natale e gustare boccone dopo boccone con lo spumante.
Sono vecchio? Arretrato? Matusa? da Medioevo? Contro l'economia di mercato?
Sì, e sono contento così.
Il cambiamento a me non fa paura, dicevo all'inizio, perché per me cambiamento è quando hai bisogno di sempre meno cose per stare bene; quando riesci a festeggiare perché la festa ti nasce da dentro e non perché devi festeggiare perché il giorno è arrivato.
Vivere delle cose essenziali fa più piena la vita, perché la riempie di ciò di cui ha bisogno veramente, non di ciò che arriva stamattina, secca stasera e diventa marciume domani.
A me la pandemia ha fatto maturare anche questi pensieri.
Non so a voi.
Poi, ognuno può restare con le sue idee e amici come prima.

*) nel post originale qui c'era un link a una pagina di TGCom24, che ora non esiste più.


Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)


sabato 31 ottobre 2020

La supercazzola di Halloween

Il Porcino Cosmico fotografato da casa del Dalai Lama
Non abbiate paura, Halloween non c'azzecca niente col post, è solo per acchiappare l'attenzione.
Per parte mia, infatti, ritengo Halloween una delle feste più imbecilli (cit.) dell'anno. Sarà colpa del mio luddismo intellettuale? Lo dico subito così a chi questo non sta bene (pur con tutti i suoi buoni motivi cultural ludici!) non va oltre.
Comunque, pensavo stamane che questo, in fondo, non è solo un blog di fantascienza.
Se ci pensate: come chiamereste il mondo che abitiamo se non "Terra Incognita" (titolo che, lo ricordo, devo al genio di zio Nick)?
Cosa conosciamo veramente della sua essenza? Sappiamo forse con precisione come e quando è spuntato fuori dal nulla? Perché proprio una palla che gira attorno ad un Sole? Che a sua volta vaga in una massa di stelle che noi chiamiamo Via Lattea?
E, volendo fare i pignoli, perché la chiamiamo proprio "Via Lattea"? In un'epoca in cui ognuno è dio a se stesso e la "libertà" è la parola più stuprata di tutto il vocabolario dell'universo criato (altra cit.), perché io non la posso chiamare "Porcino Cosmico" e gli altri non devono seguire la mia volontà?
In un mondo in cui a 15 anni per legge non puoi comprarti le calzine natalizie pucciose su Amazon ma puoi andare in farmacia e, senza che nessuna sappia e dica qualcosa, puoi comprare l'ElleOne per ammazzare il bambino che forse porti in grembo, perché mettiamo paletti alla nomazione delle cose? Se per me quest'ammasso di stelle in cui sguazza il sole si chiama "Porcino Cosmico", è così, e lo deve essere per tutti.
Queste discriminazioni mi fanno impazzire...
Naturalmente la mia è amara e nera ironia...
Ma torniamo ab ovo.
Dicevo che "Terra Incognita"  potrebbe non essere il nome di un blog di sola fantascienza.
E il sottotitolo mi rafforza in questa convinzione: "Giornale di bordo dallo Starlight Casinò".
Ricordate lo Starlight Casinò? No?
Bene. Anzi male! Vuol dire che di fantascienza ne masticate poco e, soprattutto, non avete mai letto questo mio giovane blog.
Allo Starlight Casinò gli occupanti della Orion passavano il loro tempo libero, chiacchierando de la qualunque.
Perciò perché io non potrei usare questo pub virtuale per farmi i fatti miei e farveli sapere?
Magari non vi piaceranno (i fatti miei), ma non è affar mio: se siete arrivati fin qui a sbirciare, ben vi sta! Di questo sono convinto.
Anche se la convinzione è una di quelle cose che più mi fa salire la pressione. O come direbbe Pino Daniele, mi procura l'arteteca
E c'è ancora un altro motivo per cui posso utilizzare quest blog per il ❌❌❌ quotidiano; motivo molto più dotto, tratto dal fantascientifico mondo del maestro Isaac Asimov.
Ricordate "Le grandi storie della fantascinza"? No. Allora fatevi un giro qui.
Ebbene, nelle sue introduzioni alle singole annate egli faceva la cronistoria degli avvenimenti storici e di quelli della produzione fantascientifica, ma separando i 2 mondi.
E il mondo che noi chiameremo reale, storico, per lui era il mondo "al di fuori della realtà".
Ecco.
Quindi: perché un blog di fantascienza non dovrebbe parlare di cose quotidiane? In fondo tutto il mondo è reale o irreale a secondo del punto di vista...

 

(E tutto questo mentre Sean Connery s'imbarca per la sua ultima avventura: riuscirà a trovare la Barba di Dio?)
 
Tim il Guiscardo
Vice Comandante dell'Astronave Terra
(in attesa che torni il Capo)

lunedì 26 ottobre 2020

Ubik. Ma da un altro punto di vista.

Dick.

Ubik.

E, per i cultori di Fantascienza, ho detto tutto.

Ubik non è un romanzo, pur avendo la struttura di un romanzo, essendo stato pubblicato come un romanzo.
Ubik, per un cultore di Fantascienza, è un vangelo, nel senso letterale di: annunzio di una buona notizia.
Non sto bestemmiando e non voglio mancare di rispetto a chi ha una fede cristiana.

Ma qual è la storia narrata in Ubik?
(attenzione: spolier!)
Glen Runciter è a capo di un'agenzia che si occupa di neutralizzare le spie commerciali dotate di poteri paranormali.
Per Runciter lavora Joe Chip, un tecnico che è anche amico del capo.
Runciter è sposato con Ella, deceduta da tempo ma che viene mantenuta in animazione sospesa in un moratorium (un centro di riposo per defunti) perché è consigliera del marito.
Runciter viene ucciso dalla più importante organizzazione di spie psi in un attentato del quale è vittima anche Joe Chip, il quale sopravvive e organizza con gli inerziali (individui dotati di poteri capaci di neutralizzare i poteri psi) la controffensiva.
A questo punto Dick inizia a dare il meglio di sé, intrecciando mondi passati e presenti, con tutto che torna indietro nel tempo: i videotelefoni diventano telefoni a bachelite; le auto assumono modelli da prima della guerra mondiale...
Quindi Chip e la sua squadra vengono spinti da qualcosa ad andare a Des Moins, dove il romanzo si prepara all'epilogo: gli uomini della squadra del tecnico inizia a morire in modi strani e atroci e lo stesso Joe Chip capisce di essere egli stesso morto e di riposare in un moratorium, mentre è Runciter ad essedre vivo.

In questo romanzo Dick fa pronunciare a Runciter la frase che rimarrà nella storia della letteratura, anche non fantascientifica:

Io sono vivo e voi siete morti.

È il riassunto di tutta la narrazione, in cui la realtà continua a volteggiare davanti e dentro i personaggi, che a loro volta cercano di acchiapparla e di far in modo che corrisponda a quella che pensano di avere dentro di loro. Al punto da arrivare a usare Ubik, lo spray miracoloso che "aggiusta le cose" riportando tutto alla realtà e permettendo agli inerziali di restare nella vita reale. O almeno a quella che per loro è o dovrebbe essere la realtà.

Lo stesso Ubik dice di se stesso:

Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. [...] Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno.

In questo gioco continuo ciò su cui voglio puntare l'attenzione è che, in base ai punti di vista, noi possiamo essere vivi o morti.

Perché c'è vita e vita, come c'è morte e morte.
Per noi... mortali, l'orizzonte della vita è breve, limitato: anche se vivrò 100 anni, dove mi colloco rispetto ai 13.000.000.000 di anni dell'Universo? o anche ai soli 4.500.000 della Terra?
Praticamente io sono una x nel ciclo dell'azoto, come direbbe De Gregori.
Mi guardo attorno e vedo cose, ascolto gente, sono colpito dalla bellezza dei colori dell'autunno.
Ma sono un uomo e mi chiedo il senso di tutto ciò, fino ad arrivare alla domanda che ogni uomo si è fatto da quando ha iniziato ad avere contezza di se stesso: è vero tutto ciò? O è solo un phantasmata? un simulacro? volendo riprendere un'altra grande opera di Dick.
E sono un cristiano e conosco bene, perché lo vivo sulla mia pelle, quel comando:

presentate voi stessi a Dio, come dei morti fatti viventi (Rom 6:13).

Chi sono i morti? E chi i viventi?
Possono dei viventi essere morti? E dei morti essere viventi?
Sì.
Perché c'è una vita che è vera, che cammina verso lì dove va il mondo e nelle modalità che questo cammino richiederebbe. Ma che non è la realtà che si mostra a noi esplicita, che vediamo e sperimentiamo quotidianamente, votata alla morte (la famosa x nel ciclo dell'azoto), vissuta da zombi -o semivivi-, cioè da morti che sembrano viventi.
È la vita secondo la realtà voluta da Dio, invisibile agli occhi del corpo (votato alla morte: Rom 7:24) ma percebile da chi è vivo veramente, cioè capace di guardare al mondo esterno e contemporaneamente a quello che vive dentro di noi, datore di senso di ogni cosa.
Non che noi creiamo il mondo con la nostra mente, ma ci è stata data la facolta di leggere la realtà e giudicarla secondo la mente di chi il mondo l'ha creato.
C'è una realtà,insomma, che ci sfugge se stiamo sempre incollati col culo alla sedia del tran tran quotidiano, che non ci permette di venir fuori dalla nostra umanità; che ci fa essere morti pur respirando. Perché ci colloca in un mondo che non è reale, ma solo un phantasmata, un simulacro sporco e irriconoscibile di quello pienamente realizzato voluto all'inizio della creazione, forse 13 miliardi di anni fa.
E c'è una vita, spesso donataci e dimenticata, messa in un cassetto, che questa realtà può penetrare e disvelare. Ma che non avviciniamo neanche perché ci è scomoda.
E così potremmo essere dei morti fatti viventi e invece ci accontentiamo di essere dei semivivi, col battito cardiaco e la saturazione dell'ossigeno perfetti e l'anima e la psiche che vagano nel buio.
Siamo, direbbe Geremia, uomini che hanno scelto di abbandonare la sorgente dell'acqua che può farci entrare nella vita, per invece faticare e scavarci cisterne rotte che questa vita non trattengono, ma lasciano scappare. (2:13)

A conclusione, e quasi a giustificare questa mia lettura spirituale di Ubik, è noto che Dick era vicino alla chiesa episcopale, seppur con una matrice spirituale molto gnostica: nel terzo libro della Trilogia di Valis, La trasmigrazione di Timothy Archer, il vescovo Archer è la trasposizione letteraria di Jim Pike, vescovo episcopale suo grande amico e guida carismatica di moltissimi in quel periodo. Ed è ancora noto che scrisse pagine e pagine di esegesi dei testi biblici.

Ma questa è un'altra storia, come dicono quelli bravi.