sabato 11 marzo 2023

La ricevuta

Mustang verde oliva del 1970 (ma non è quella di Jimmy...)
(Breve raccontino da duemila parole)

Percorse tutta Santa Monica Boulevard, dall’incrocio con Overland Ave fin quasi a Ocean Ave.
Con calma, dandosi il tempo di adocchiare i palazzi e le case a destra e a sinistra, come un turista svogliato. L’appuntamento era alle dieci e mezza e adesso l’orologio sul cruscotto diceva: 22:10.
La vecchia Buick del 1970 lo scarrozzava ancora bene, nonostante l’età e tutti i suoi rumorini.
Guidava quell’auto non perché servisse alla sua immagine di investigatore privato, ma perché con la cifra che il suo conto corrente gli aveva messo a disposizione era riuscito ad acquistare solo un modello così vecchio.
Però pian piano aveva imparato ad apprezzarla, compreso quel suo colore oliva slavato che all’inizio gli stava proprio sul gozzo. Anzi si poteva dire che quell’auto era diventata quasi un suo prolungamento, un pezzo imprescindibile della sua giornata. Insomma, di giorno viveva in simbiosi con quell’auto.
Cambiò stazione alla radio. Non gli interessavano quelle diavolerie moderne di CD o chiavette USB o, peggio ancora, i “sistemi integrati” che non sapeva manco bene cosa volesse dire.
Era un tipo semplice, lui.
Jeremy Pearl, che tutti chiamavano Jimmy, 46 anni portati così così, di media statura, capelli castani tagliati corti, niente barba ma la mosca sotto il labbro, e un abbonamento annuale alla palestra che non utilizzava ormai da sei mesi; e si vedeva.
Professione, dicevamo: investigatore privato.
Ogni volta che lo diceva, immaginava l’effetto che forse stava facendo sul suo interlocutore; e ne gongolava dentro.
Ma la realtà era diversa. Dopo quel primo caso che gli aveva dato un certo nome in città (ricordate la pietra di zaffiro rubata alla famosa diva e ritrovata da lui? sì, fu per un puro caso: si trovò al posto giusto al momento giusto, nulla di più…), dopo quel primo caso, dicevo, solo qualche pedinamento di fedifraghi; finché ne aveva avuto il fisico, qualche serata da accompagnatore / guardia del corpo per stelline in certa di visibilità; qualche dipendente infedele diventato ladruncolo e beccato sul colpo… cose così, insomma.
Poi aveva dovuto, gioco forza se voleva mangiare almeno due a volte al giorno, accettare di ritrovarsi sul libro paga di qualche personaggio di dubbia moralità.
Jimmy aveva sempre il cellulare acceso e disponibile per Mario LoVito, Alfreduccio Vona, Zelany Profumo. Sempre pronto a farsi dare l’indirizzo di qualcuno a cui risvegliare la memoria, da cui andare a prendere un pacchettino, ecc. ecc. .
Non cose grosse, ché per quelle c’era gente un po’ più ben messa di lui e con la pelle già abbondantemente bucata e ricucita, bucata e ricucita.
Lui andava bene per piccoli fastidi e anche per questo costava poco. Ma a lui bastava.
Era all’incrocio con la 4th Street, fermo al semaforo. Al verde girò a destra, altri 200 metri e sulla sinistra vide un Public Parking; mise la freccia ed entrò.
Rimase sul piano e cercò un posto vicino all’entrata: non si sa mai come vanno le cose, era sempre il suo motto.
Il nome di quella sera, quello a cui fare un discorsetto, era Tom, Tom Barroso.
Gli aveva dato appuntamento lì perché il Parking era a qualche isolato dal Chesnut Club, sulla Santa Monica, un night dove lasciava sempre un bel po’ di dollari quando ne aveva da spendere. Il prezzo del gin era alle stelle ormai e l’arredo femminile sempre più esigente.
Tom gli aveva detto di avere una Dodge Nitro MY gialla del 2010. Bella macchinina, aveva pensato Jimmy. E com’ è che con quel bolide non riusciva a saldare un debituccio a Zelany? si chiese.
Prese la piccola semiautomatica dal vano porta oggetti e la mise in tasca.
Scese dall’auto.
Erano le dieci e venti ma cominciò ugualmente a guardarsi attorno: un’auto gialla non rimaneva anonima e poteva darsi che Tom fosse già lì.
In vista non c’era nessuna auto di quel colore così vistoso, né piccola né grande.
Si poggiò al cofano della sua Mustang e incrociò braccia e gambe. Così facendo diede anche una controllatina alla pistola nella tasca della giacca senza dare sospetti.
Un’altro sguardo al mare di auto parcheggiate, e niente.
Ma da dietro una colonna quadrata a qualche metro da lui spuntò un uomo, più che altro un ragazzo, che avrebbe potuto essere un ispanico.
Avete presente un Antonio Banderas sui vent’anni? Ecco, proprio lui. Ma con una faccia cattiva, di uno che dalla vita non si aspetta passerelle e riflettori ma celle buie e coltelli volanti.
Si scambiarono un’occhiata e si agganciarono.
Tom, se era lui, gli si avvicinò con molta calma e si poggiò al cofano della macchina di fianco alla sua. Ognuno guardava davanti a sé.
- Tom?
- Jimmy?
- Facciamo in fretta o devo farti il ripasso? Sai, ho un po’ di premura…
Tom si allontanò dall’auto e fece per piazzarsi davanti a Jimmy. Ma Jimmy lo anticipò e si spostò a sua volta: non poteva dargli il vantaggio di stargli in piedi mentre lui era seduto e sbilanciato, nel caso l’avesse aggredito.
- Tranquillo, amico, non voglio farti del male. Anche perché con quella pistola che hai nella tasca della giacca faresti sicuramente più male tu a me. Hai qualche annetto ma da quel che vedo sei ancora abbastanza in forma…
Jimmy si stupì di sentirsi lusingato da quel complimento, anche se era dettato solo dall’istinto di sopravvivenza dell’Antonio Banderas dei rubagalline.
- Senti, ragazzo, come ti ho detto ho una qualche premura, quindi se hai quello che devi darmi, bene; altrimenti dammi almeno un buon motivo da riferire al signor Profumo sul perché torno a mani vuote. So che è la prima volta che succede che non sei puntuale…
- E chi ha detto che non voglio pagare? l’interruppe Tom che aveva spostato il peso dalla gamba destra a quella sinistra e stava mettendo una mano in tasca.
- Ehi, niente scherzi! scattò Jimmy portando la mano alla sua di tasca.
- Calma, amico! Vuoi quel che ti devo? Ce l’ho in tasca…
E tirò fuori un involto. Sembrava un vecchio, e sporco, fazzoletto a quadri bianchi e rossi. Lo aprì con molta calma e ne tirò fuori un mucchietto di banconote che dovevano essere stropicciate ancor prima di finire in quell’improvvisato portafoglio.
- Ecco – disse – questo è quello che devo al signor Profumo. E così dicendo fece un inchino e porse i soldi a Jimmy.
Jimmy tirò fuori da una tasca un fazzoletto bianco e con questo prese i soldi che il ragazzo gli stava porgendo.
- Ehi, quanta arroganza! Non sono mica infestati di pidocchi i miei soldi!
- Meglio essere tranquilli…
- Ma tu te ne vai in giro con questa? - chiese d’un tratto Tom indicando la Mustang oliva slavato.
- Sì, perché, non ti piace?
- No, no, ci mancherebbe! Se piace a te… comunque ha un suo non so che di fascino, è tenuta bene, gomme nuove, tirata a lucido…
- Faccio quello che posso, ragazzo.
Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Tom riprese a parlare:
- Allora se tutto è chiarito… spero che il signor Profumo sia soddisfatto. Ti lascio andare alle tue faccende. Dov’è che hai detto che devi andare, stasera, che hai così fretta?
- Non l’ho detto.
Che poi che interessa a questo tipo? pensò Jimmy. Beh, per una volta nella vita poteva essere pure carino, in fondo il ragazzo aveva pagato quel che doveva senza fare storie, e sembrava avere una faccia da buono, per quel tipo di soggetti.
- Più avanti, c’è un night, il Chesnut Club, sulla 14th. Ogni tanto vado a passare qualche serata per rilassarmi.
- Mmh… magari andrai a spendere i soldi che ti sei guadagnato stasera con questo lavoretto facile facile…
- Mmh… magari non sono fatti tuoi…
- Ok, ok, mi arrendo. È stato bello conoscerti ma spero di non vederti più, almeno in queste circostanze.
- Dipende da te, ragazzo…
Tom si girò e andò via. Jimmy cercò di vedere verso quale auto andava, ma una volta che l’altro ebbe girato l’angolo, lo perse di vista. Aspettò qualche minuto per vedere se passava lì davanti verso l’uscita, ma evidentemente aveva lasciato la macchina in qualche altro piano.
Risalì in auto, uscì dal parcheggio, voltò a destra e poi ancora a destra, sulla Santa Monica.
Fatto qualche isolato, entrò sulla 14th Street e poi subito nel parcheggio del Chesnut Club.
Fu una serata come tante.
Incontrò Adam, un vecchio amico con cui parlò di scommesse; cercò come ogni volta di abbordare Fanny, la cameriera irlandese, che come ogni volta lo mandò garbatamente a quel paese da sotto quel diluvio di capelli rossi. Vide un pezzo di una partita di basket in TV, ma tanto distrattamente che quando terminò non ricordava neanche i nomi delle squadre.
Si era fatta l’una e capì che era ora di andare a casa per il sonno del giusto; sarebbe andato l’indomani da Zelany Profumo a portare i soldi di Tom.
Pagò e uscì dal locale.
L’aria della notte era fresca, odorosa del vicino Oceano: gli piaceva quella sensazione di pulizia che gli dava.
Cercò con gli occhi la sua Mustang ma fu invece attratto da qualcosa di giallo che si muoveva verso di lui.
Riconobbe subito una Dodge Nitro MY, che poteva essere di Tom, e che lentamente stava arrivando. Il SUV si fermo a pochi passi da lui e la testa riccioluto di Tom venne fuori dal finestrino.
- Ehi Jimmy, che coincidenza! Vado a fare un giro in cerca di amici e guarda chi ti trovo
- Siamo amici? rispose Jimmy con calma.
- Beh, insomma, neanche estranei…
- Cosa vuoi? disse seccamente l’investigatore, che stava cominciando a sentire qualcosa alla bocca dello stomaco.
- Niente, non ti preoccupare. Te l’ho detto, passavo di qua e ho visto la tua inconfondibile Mustang verde oliva. A proposito è laggiù in fondo, dietro il cartellone dell’insegna del locale. Bye bye!
Accompagnò il saluto con la mano, ingranò la marcia e sgommò verso l’uscita.
Jimmy adesso aveva quasi paura: perché quel tizio era lì ad aspettarlo a quell’ora? Come faceva a sapere dove aveva lasciato l’auto? L’aveva cercata? E perché?
Aspettò qualche istante per essere sicuro che il SUV fosse uscito dal parcheggio e poi si incamminò verso la sua auto.
Vide subito un biglietto sotto il tergicristallo. Con una grafia da seconda elementare c’era scritto: “hai dimenticato di farmi la ricevuta e me la sono fatta da solo”, e sotto: “il tuo amico Tom”.
O Tom era un autentico buontempone, ma in quell’ambiente non esistono buontemponi… buoni, oppure era un pericoloso vendicativo.
Poteva fidarsi di lui? Un’occhiata alla Mustang prima di salirci era meglio darla.
Si inginocchiò e guardò sotto l’auto: pareva che tutto fosse a posto. Aprì il cofano e guardò nel motore: niente fili tagliati o strani pacchetti.
Prima di salire diede un’occhiata anche sotto i sedili, nel cruscotto e dovunque si potesse nascondere qualche regalo indesiderato. La morsa allo stomaco cominciò a sciogliersi; poteva stare tranquillo.
Nel rimettere la semiautomatica nel cruscotto vide il pacchetto di Camel che l’adocchiava dal buio. Ma sì, pensò, me la sono meritata per oggi. Prese una sigaretta e se l’accese.
Ma si poteva dire che era l’ultima della giornata o, vista l’ora, era la prima del nuovo giorno?
Aspirò profondamente e girò la chiavetta dell’avviamento, e mentre lo faceva ebbe un lampo in cui pensò: e se il tipo ha collegato qualcosa all’accensione?
Non scoppiò niente.
Manovrò un po’ per uscire dal parcheggio e si avviò sulla 4th.
Era l’ora in cui sulla KBLA iniziava il programma di swing. Chissà perché la buona musica la fanno solo di notte, pensò.
Accese la radio e proprio mentre girava la manopola saltò tutto per aria.
Della Mustang, di Jeremy e dei soldi di Zelany Profumo non restava niente.
E la ricevuta di Tom era stata consegnata. 
 
 (opera protetta dai diritti d'autore)

martedì 7 marzo 2023

Come avvenne che gli alieni non invasero più la terra

 

Masolino da Panicale, Fondazione della Basilica Maggiore

(Breve raccontino, meno di 2000 parole, fantaumoristico. A voi.)


Il primo attacco iniziò alle 9 di mattina.

Dieci oggetti oblunghi, riflettenti la luce del sole e che, a occhio nudo, misuravano almeno un ventina di metri di lunghezza, scesero  in formazione compatta verso il paese.

Giunti a una cinquantina di metri d’altezza cominciarono a sparare  convogliando la loro forza di fuoco su oggetti specifici: un semaforo, un albero, un furgoncino del latte, una panchina.

Ognuno di questi oggetti fu completamente disintegrato, compreso tutto il terreno su cui si trovava.

Mentre ancora gli obbiettivi della loro incursione stavano crollando a terra sbriciolati, gli oggetti non identificati virarono con una velocità e inclinazione impossibile per un velivolo terrestre e sparirono in alto.

In verità, poiché l’azione era stata compiuta nel più assoluto silenzio, nessuno, se non Branaghan lo spazzino, vide o si accorse di nulla. Bannack non è una città molto sveglia a quell’ora del mattino.

E anche quando l’uomo che puliva ogni giorno le strade della simpatica cittadina del Montana, quasi al confine con l’Idaho, provò a spiegare cosa aveva visto, nessuno gli credette: le abbondanti quantità di rum che sin dal mattino lo tenevano in piedi per svolgere quel lavoro che gli permetteva di acquistare il rum stesso, erano una spiegazione sufficiente agli abitanti del paesino per non credere a nulla di ciò che diceva.

Ma stava di fatto che il semaforo, l’albero di fronte la casa del sindaco, una panchina e il furgoncino del latte di Ramon era diventati cenere.

Soprattutto Ramon ebbe a protestare: senza il furgoncino comprato con la vincita alla lotteria della contea, come avrebbe potuto continuare a lavorare? E tutti quelli che gli vendevano il latte da portare in giro a chi si sarebbero rivolti, ora? Chi si sarebbe avventurato fino a Bannack dai paesi vicini per portare le bottiglie del latte se non un abitante del paese stesso? Perché portare il latte fino a Bannack non era mai stato un vero affare…

Avvisato da Branaghan, lo sceriffo di Bannack, che tutti chiamavano Jeff ma di cui nessuno conosceva il cognome, si trovò così costretto a lasciare il suo ufficio e, in compagnia di Rudy il vice sceriffo, andò a constatare quello che era successo.

Jeff, lo sceriffo, passò tutta la mattinata andando avanti e indietro dal punto dove si trovava la panchina a quello dove stava il furgone di Ramon, all’incrocio dove pendeva il semaforo. Ma non ci capì niente, non volendo credere neanche lui alle parole di Branaghan.

Alla fine decise di chiamare la polizia della contea per segnalare il fatto e ordinò a Branaghan di ripulire le strade piene di detriti.

Il secondo attacco si verificò verso le due del pomeriggio, quando ogni abitante di Bannack è impegnato a fare qualcosa che si possa fare in casa, e non altrove.

Ogni abitante tranne Branaghan, che a quell’ora ha finito di ripulire le strade della cittadina e aspetta che arrivi l’ora decente per andare a sedersi al bar di Pet e Sally e tirare a fare notte in compagnia di qualche altra bottiglia di rum.

Infatti fu Branaghan che vide ciò che accadde: ancora dieci oggetti oblunghi scesero in picchiata su Bannack e, arrivati a una cinquantina di metri dal suolo, spararono e disintegrarono la cassetta della posta della Libera e Ubiqua Università del Montana, la fila di panni stesi di Miss Bakery (maestra in pensione) e l’albero di cipresso di Mike Bradbury, che comunque era già completamente rinsecchito e doveva essere tagliato; perciò questo alla fine si rivelò un fatto a favore di Mike.

Branaghan corse a chiamare lo sceriffo Jeff che usci malvolentieri dalla sua casa, soprattutto perché pensava che lo spazzino avesse ancora i postumi della sbronza del mattino in attesa di quella della sera.

Ma si dovette arrendere davanti a ciò che restava della cassetta della posta, del cipresso di Mike e soprattutto dovette cedere alle urla della anziana Miss Bakery che protestava perché proprio quella mattina aveva lavato tutte le tovaglie da tavolo di sua nonna, e ora non ne restava che un grosso mucchio di cenere. E voleva che qualcuno facesse qualcosa.

La polizia della Contea non era ancora arrivata, anche perché aveva dichiarato lo sceriffo Jeff, non gli era sembrata molto convinta di quella chiamata così strana, per cui avrebbe raggiunto Bannack solo l’indomani.

Così lo sceriffo non fece che chiedere a Branaghan di riprendere scopa, paletta e bidone e pulire la strada.

Il terzo attacco avvenne alle nove di sera, ripetendo lo schema solito: dieci oggetti oblunghi scesero in picchiata su Bannack e, arrivati a una cinquantina di metri dal suolo, spararono tutti insieme come un sol colpo e disintegrarono, questa volta, la mucca di John Durbridge, il triciclo (abbandonato in  giardino) di Coole, il figlio di Eberard Brenner e l’insegna del negozio di pesca di George Adler.

La mucca di John Durbridge fu il primo (e unico) essere vivente vittima degli attacchi di quegli oggetti non identificati.

E anche questa volta fu solo Branaghan, di antica discendenza irlandese come suggerisce il nome, a vedere tutta la scena. Infatti a quell’ora della sera a Bannack chi non si trova nel bar di Pet e Sally a sbronzarsi è a casa propria davanti alla TV o alla radio.

Branaghan era invece uscito proprio in quel momento per svuotare la vescica sotto il grande olmo del Montana davanti al bar.

Così fu accecato da una gran luce, prodotta dai raggi che stavano disintegrando la mucca di John, e poté seguire con gli occhi lo stesso raggio completare l’operazione.

E fu così che qualcuno nel bar sentì Branaghan che imprecava perché si era bagnato le scarpe semi nuove che aveva ai piedi, le uniche che non fossero quelle da lavoro.

Questa volta Jeff lo sceriffo era al bar, già abbastanza brillo ma non tanto da non capire che gli sarebbe toccato lasciare a metà il boccale di birra rossa che aveva davanti e che si sarebbe dovuto fare un’altra scarpinata per guardare in giro i danni fatti dall’ultimo raid alieno; o di qualunque natura fossero quelle cose nel cielo.

Alla notizia che qualche altro pezzo di Bannack era stato polverizzato da chissacchì, un paio di avventori del bar uscirono sulla soglia e videro Branaghan che si stava ancora guardando le scarpe bagnate e le stava anzi mostrando con aria risentita a Jeff lo sceriffo, che annuiva abbastanza convintamente.

I due avventori tornarono alle loro faccende da bar, mentre lo spazzino e il sindaco si avviarono, con qualche mancamento, specie da parte di Branaghan, verso il negozio di articoli da pesca di George Adler e presero a fissare quello che restava dell’insegna: praticamente niente; c’era solo il buco in cui c’era stata la scritta.

A questo punto, scambiate due parole, sia Jeff che Branaghan tornarono al bar e la cosa fu provvisoriamente chiusa lì perché, come disse a tutti il sindaco, per quella sera non si poteva fare comunque niente. Nessuno, nel frattempo, aveva toccato il suo boccale di birra a metà.

Quella sera, a tarda ora, forse la mezzanotte o più, Branaghan stava rientrando a casa.

Seguiva gli alberi del viale davanti al bar di Pet e Sally, dopo aver girato sulla destra, e sapeva di dover voltare al diciottesimo platano: si regolava così perché dopo l’abbondante libagione giornaliera l’unica cosa che riusciva a fare era contare.

Il quindicesimo platano era già passato, quando sentì come un vento superarlo sulla destra e qualcosa di massiccio e scuro gli si parò davanti.

Branaghan ristette e cercò di capire cosa stesse succedendo.

D’un tratto l’oggetto, alto più o meno un paio di metri e largo uguale, si aprì e ne uscì una scaletta da cui scese qualcosa.

Non era un essere umano, perché non aveva gambe né braccia articolate come un uomo, ma sembrava più che altro una palla, che rimbalzava invece di camminare.

La cosa, rimbalzando appunto, arrivò davanti a lui e quella che poteva essere la testa cominciò pian pano ad illuminarsi. Poi si aprì una fessura e da lì iniziarono ad uscire suoni che l’onesto spazzino non comprendeva.

Era forse una lingua che non aveva mai sentito? Qualche dialetto dell’Idaho? O era solo il rum che continuava a viaggiare nel suo corpo e aveva raggiunto il cervello?

La cosa davanti a lui intanto continuava ad emettere suoni incomprensibili e aveva anche prenso a fare una strana danza, ballonzolando a destra e a sinistra. A Branaghan sembrava come un uomo che si altera e prenda a gesticolare vorticosamente.

La cosa indicava infatti, con corte escrescenze che uscivano dal corpo, alcuni punti tutt’attorno. Alla fine Branaghan capì che stava additando i luoghi che erano stati colpiti durante la giornata dagli oggetti scesi dal cielo.

D’un tratto la cosa smise di muoversi e di emettere suoni.

Ci fu silenzio perché anche Branaghan stava fermo e muto.

Poi la cosa riprese la sua danza e il suo vociare indistinto, sempre più frenetico e urlante e, così parve all’uomo, arrabbiato.

Ad un certo punto a Branaghan sembrò finalmente di capire qualcosa degli strani suoni che la cosa ballonzolante emetteva.

Ci mise un po’ ma alla fine fu sicuro che quell’essere, da qualunque parte dell’universo o della contea stesse venendo, stava dicendo in ua lingua che ora poteva capire:

“E allora sai che c’è? Vi abbiamo bombardato stamattina e nessuno di voi si è preoccupato di niente! Vi abbiamo bombardato a mezzogiorno e avete fatto lo stesso! Vi abbiamo colpito stasera e avete continuato a sbevazzare al bar e a guardare la TV a casa! Sai che c’è? Noi ce ne andiamo! E voi, andatevene tutti a fare in buca!”

E così dicendo, la cosa ballonzolò fino alla sfera da cui era sceso, salì la scaletta e l’oggetto scuro ripartì saettando silenziosamente.

Branaghan rimase interdetto per un po’.

Ecco chi erano quelli che avevano sparato a Bannack, si disse. Ma che volevano? Perché quel tizio era così scalmato e arrabbiato?

E quelle parole alla fine? “Andatevene tutti a fare in buca”… gli sembrava la stessa espressione umana di quando qualcuno ti manda a…

Mah, non erano affari suoi.

Per un attimo penso di andare a casa di Jeff lo sceriffo e riferirgli quello che aveva visto e sentito.

Ma poi Jeff gli avrebbe creduto? E, soprattutto, a quell’ora era in grado di capire qualcosa o il numero di birre era stato superiore a quelle che si convengono ad uno sceriffo sempre in servizio?

E poi, sinceramente, era una cosa importante?

Neanche fosse arrivata la fine del mondo…

 

 

N.B.: La città di Bannack esiste realmente e si trova proprio nel Montana, nella Contea di Beaverhead, sull’omonimo fiume Beaverhead, non lontano da Dillon, ai confini con l’Idaho. O almeno esisteva fino al 1970 quando divenne una ghost town, cioè una città fantasma. Fondata nella seconda metà dell’Ottocento fu la prima città di quella zona dove si instaurò una colonia di cercatori d’oro. Raggiunse i 3000 abitanti e divenne ben presto anche la capitale del Montana. Esauritesi le miniere d’oro, cominciò pian piano a svuotarsi fino al 1970, quando morì l’ultimo residente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 28 ottobre 2022

Dolcetto o scherzetto?

Poiché si avvicina Hallowen e io, forse, sarò in altre faccende affaccendato, vi
anticipo il mio raccontino per questa festa inutile e anacronistica (ormai ci vuol ben altro a metterci paura! Magari una bolletta del gas...).
È un racconto datato, ormai ho smesso di andare in giro col panama bianco e il sigaro in bocca dandomi arie di scrittore dannato e squattrinato.
Ora sono rimasto solo dannato e squattrinato.

 

Dolcettoscherzetto?

(dove c'è chi scherza e chi fa sul serio - urca se fa sul serio!)


- Arghhhh - urlò il ragazzino comparendo da dietro l'angolo travestito da cardinale Ratzinger.

Lello, che stava entrando di corsa nei bagni della stazione, rimase impietrito e sentì qualcosa di caldo scendergli lungo le cosce e i polpacci e poi giù giù fin dentro le adidas nuove arancioni e nere.
- Che schifo! - urlò la donna delle pulizie col mocio in mano, guardando la pozza gialla ai piedi di Lello. - Ma proprio qua dentro dovete venire a fare queste porcherie? Tu, non potevi fare il dolcettoscherzetto come tutti? E tu, deficiente, manco avessi 2 anni, che ti pisci addosso!
Lello rimase ancora qualche secondo immobile, poi fissando il ragazzino negli occhi mise la mano sotto la giacca, torcendo il braccio dietro la schiena, tirò fuori qualcosa di compatto e lucente, lo puntò contro di lui girandolo di 90 gradi e tirò il grilletto.
Una, due, tre volte: pam! pam! pam!
Il ragazzino (che visto col senno di poi in effetti avrebbe fatto meglio a fare dolcettoscherzetto) voleva capire cosa stesse succedendo, ma ebbe solo il tempo di vedere il pavimento avvicinarsi a velocità supersonica al suo naso e poi più nulla.
- Che schifo! - urlò la donna delle pulizie, guardando la pozza rossa mischiarsi con quella gialla. - Che serata di m***a! Altro che Halloween, qui c'è solo da lavorare!
E andò a riempire il secchio d'acqua e candeggina.

Fine

 

venerdì 26 agosto 2022

Di scuola, influencer e Dante Alighieri

John William Hennessy, The Pride of Dijon, 1879

Ragazzo viene pestato e mandato in rianimazione per uno scambio di persona.
La mia domanda è solo una, e non riguarda direttamente il fatto che è successo: perché una bambina di 15 anni ha una pagina social dove chatta tranquillamente con chiunque? Mi vengono in mente le parole di Dante Alighieri che iniziava la sua opera più conosciuta così: "Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita."
Ed è proprio così: quando smarrisci la 'diritta via', ti ritrovi sempre in una selva oscura, in un posto dove non sai cosa fare e allora vai a destra e a manca senza una meta chiara, col pericolo di cadere in ogni tranello che la selva (il mondo) ti pone davanti.
Naturalmente la domanda conseguente è: chi dovrebbe far conoscere ad una bambina di quindici anni la 'diritta via'? Non certo un influencer, qualcuno su TikTok o Istagram... E il cerchio si chiude. 
 
A proposito di influencer: tre influencer beccati ad aver evaso il fisco. Fare il furbo non sempre paga (in tutti i sensi!) ma loro ci hanno provato. Tuttavia mi viene da pensare che se c'è uno che ti paga in nero, sta rubando anche lui alla collettività. Non è moralismo: è la legge. È vero che l'evasione fiscale non si combatte (solo) con la finanza fuori dai negozi o dagi studi dei professionisti, ma in una società dove: fatta la legge, trovato l'inganno; e poiché non possiamo sempre ragionare coi massimi sistemi (perché la vita è fatta di cose spicciole prima che di discussioni metafisiche), non vedo male controlli a tappeto ogni tanto. Perché se evado 10 centesimi o cento euro o un milione di euro cambia la cifra, non il principio. E se oggi evado 10 centesimi (perché non faccio uno scontrino) e non mi capita niente, fare il salto ai cento euro o al milione è un attimo.
 
In campagna elettorale (dove si dice sempre tutto e il contrario di tutto: se io dico A il mio avversario dice B; è automatico) ci sono di quelli che vogliono portare l'obbligo scolastico a 18 anni. Io sono d'accordo perché, come diceva Gesualdo Bufalino, la "mafia sarà sconfitta da un esercito di maestri", e l'attuale società ha una struttura e uno sviluppo non molto diversi da quelli della mafia: nessuno di certo ti viene a puntare una pistola alla tempia se non compri quel prodotto, ma ti dimostro, e lo dico a tutti, che se non lo fai non sei nessuno, perché non assomigli al calciatore/sportivo/cantante che ne fa la pubblicità.
Quindi andare obbligatoriamente a scuola ancora per un paio d'anni, non fa male a nessuno, anzi! Poi che la scuola funzioni o no, è un altro discorso.